Economia

Sì di Bruxelles alla cessione di Ilva ad Arcelor

Calenda: «Non perdiamo questa occasione». Ma i sindacati frenano

C'è chi ha fretta, e c'è chi frena. Anche dopo che dalla Commissione europea è arrivato ieri il via libera condizionato alla vendita dell'Ilva ad Am InvestCo Italy (la cordata guidata da Arcelor con l'85%), la partita è tutt'altro che chiusa. Soprattutto sul fronte sindacale.

Per ottemperare alle richieste comunitarie, il gruppo franco-indiano ha messo sul piatto la cessione di un ampio portafoglio di asset in Belgio (Liegi), Repubblica Ceca (Ostrava), Lussemburgo (Dudelange), Italia (Piombino), Romania (Galati) e in Macedonia (Skopje). Inoltre, ha accettato l'esclusione del gruppo Marcegaglia (che nella cordata aveva il 15% ed è un significativo concorrente italiano nel settore dei prodotti piani in acciaio al carbonio zincato) dal consorzio di acquisto per evitare problemi di indebolimento della concorrenza. Un'uscita che, a valle del futuro azionariato di Ilva, sarebbe in parte compensata dall'ingresso di Cassa depositi e prestiti, su cui Bruxelles non avrebbe espresso riserve, disposta a investire 100 milioni per avere il 5,6%. E successivamente anche da Intesa, disponibile se tutto andrà per il verso giusto a investire altri 100 milioni.

Così come configurata, «l'operazione proposta non solleverebbe più problemi di concorrenza e preserverebbe la concorrenza nei mercati europei dell'acciaio», ha spiegato ieri la Commissione Ue. Che però intende vigilare sul rispetto degli impegni presi: se ArcelorMittal dovrà rendere conto delle scelte fatte in merito agli acquirenti degli asset, Bruxelles esaminerà se chi compra ha la capacità e la motivazione per continuare il funzionamento e lo sviluppo dei mezzi di produzione per sostituire in modo sostenibile Ilva.

Matthieu Jehl, presidente e ceo di Am Investco Italy, ha incassato con soddisfazione il sì di Bruxelles. «Il nostro progetto per l'azienda è chiaro: intendiamo riportarla ad un equilibrio che sia sostenibile. Abbiamo previsto un programma significativo di investimenti di 2,4 miliardi, basato su piani dettagliati a livello ambientale, industriale e commerciale che mirano a migliorare concretamente le prospettive dell'azienda». Ma il possibile scoglio dei sindacati a causa dei 4mila dipendenti che resterebbero fuori dall'accordo rende cauti sia il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda («Ora manca solo l'accordo sindacale»), sia il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia («Dobbiamo essere contenti, incrociamo le dita per le relazioni industriali che adesso si aprono»). Francesca Re David, segretaria generale Fiom, mette infatti le mani avanti: la trattativa non può ripartire senza una modifica al contratto firmato da commissari e da Arcelor-Mittal.

E la Uil chiede invece «la salvaguardia di tutti i livelli occupazionali, diretti e dell'indotto».

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