Cultura e Spettacoli

"Le utopie degli adolescenti? Sono illusioni ma salvifiche"

Il bestsellerista presenta il romanzo «Divorare il cielo», storia di un amore raccontato da diversi punti di vista

"Le utopie degli adolescenti? Sono illusioni ma salvifiche"

Teresa è adolescente quando inizia a passare le estati a Speziale, nella casa della nonna. Dalla grigia Torino si sposta in Puglia, col padre. È sotto il cielo azzurro, la luce forte e gli ulivi che conosce Bern e gli altri, «quelli della masseria», ragazzi che vivono in una piccola comunità, conoscono la Bibbia a memoria, sgusciano quintali di mandorle, seppelliscono le rane morte, amano la natura e la terra. Fra Teresa e Bern l'amore inizia da ragazzini, e durerà a lungo. Quanto, e come, lo racconta Divorare il cielo, il nuovo romanzo di Paolo Giordano (Einaudi, pagg. 434, euro 22). Lo scrittore torinese lo presenta oggi al Salone del libro (con Manuel Agnelli, ore 18.30).

Come è nata la storia?

«Sono partito da questo ragazzo, che poi è diventato Bern, che immaginavo come un adolescente, fuori contesto: come uno tutto vestito di nero che cammina in mezzo a un paesino e tutti lo guardano in modo strano, senza capire il mistero che è in lui».

E poi?

«Poi ho capito che doveva essere un altro a raccontare, una persona innamorata di lui, perché chi è innamorato racconta in modo speciale. E magari due persone innamorate di lui...».

Quanto ha impiegato a scrivere il libro?

«Quattro anni in tutto. Due e mezzo per la stesura».

La struttura come nasce?

«Ho letto molto Faulkner e mi affascinava l'idea di tentare di riprodurre la struttura dei narratori interni che si passano informazioni su una stessa storia, a volte anche in modo confuso e contorto. E poi mi sembrava un riflessione coerente con l'oggi».

Con quale aspetto?

«Siamo abituati a narrazioni parziali della verità. Così Bern è raccontato da tante voci: è Teresa colei che, per amore, cerca di metterle insieme e costruire un ritratto coerente. Che è quello che cerchiamo di fare nel matrimonio».

Come ha lavorato sullo stile?

«Da scienziato. Nella ricerca, da un'idea passi attraverso picchi di complessità; poi però, per arrivare a una risposta, sei obbligato a tornare alla semplicità. Penso lo stesso della scrittura».

C'è tanta tristezza.

«Più che tristezza, sofferenza. E vitalità. Bern ha una sofferenza quasi invincibile, e insieme una voracità, che derivano dall'essere orfano. Un mix seducente, per me».

I ragazzi fondano una comunità ecologista, utopica.

«In loro c'è, come dice Calvino nelle Lezioni americane, una scontentezza per il mondo com'è: la frustrazione di voler cambiare il mondo ma di non sapere come; e di capire che non riusciranno a farlo...»

Un giorno corrono nudi fra i turisti, e un uomo commenta: «Poveracci». Le illusioni crollano?

«Questa mattina mi sono svegliato torvo. Poi ho incontrato un gruppo di ragazzini che faceva una gara di corsa, sulla passerella qui per arrivare al Lingotto. Io credo che dobbiamo respirare quella illusione che vive nei ragazzi. Se non lo fai, oggi sei fottuto».

Da dove viene il titolo?

«C'è l'idea del divorare accostata a qualcosa di romantico, come il cielo. C'è l'idea di voler possedere qualcosa di assoluto, di ideale, che è la nostalgia fondante, che tutti i personaggi sentono per un sistema stabile, in cui non vivranno mai. E c'è già l'idea intrinseca del fallimento».

Bern passa dalla Bibbia a Stirner.

«L'adolescenza è un'età meravigliosa, in cui testi gli approcci al mondo. E questa apertura su una verità più profonda solo i libri possono darla. Non i film, o le serie».

Fa ancora test anche lei?

«Sono sempre più stabile dei personaggi che racconto. Fedele a un mio nucleo interno, che riesco a trasmettere solo scrivendo».

Come è questo nucleo?

«È fatto molto di anti ideologie. In questo il libro mi riflette. Sono sempre stato allergico alle ideologie; ne sono attratto, e a volte avrei voglia di appartenere, ma costituzionalmente non ci riesco».

Scrive: «Ogni impresa gloriosa dell'uomo nasce dall'infrazione e dal peccato». Una frase un po' apocalittica.

«Molto cattolica. La visione del mondo che mi affascina di più e che mi ha plasmato è quella cattolica, pur venendo da una famiglia non praticante».

E pur essendo un fisico.

«Per me è stupido polarizzare, la diatriba fra scienza e religione è un gioco delle parti che non fa bene a nessuno. Ma la fede può essere spinta sempre un passo oltre rispetto a dove arriverà la scienza a svelarci il mondo. Non esisterà mai una prova scientifica della non esistenza di Dio».

Sono dieci anni dal suo esordio, La solitudine dei numeri primi.

«Eh sì. Dalla grande complessità a un po' di scioglimento. Dopo tutta la responsabilità di quel libro, dopo una cosa così grossa ti restano delle scorie, per forza.

Questo è il libro dello scioglimento: via, basta».

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