Controcultura

Abbiamo fatto il nostro dovere di cittadini Ora snelliamo il vecchio baraccone

È una grande responsabilità gestire (dietro le quinte) i soldi pubblici

Luca Beatrice

Quando finalmente si aprono le porte, dopo che vedi i bambini festanti (saranno loro i lettori di domani, speriamo), nel momento in cui editori, autori, aspiranti tali, semplici curiosi affollano gli stand e c'è da fare a spintoni tra pile di libri, allora non puoi che gioire. Nonostante la strada in salita, che fino a qualche giorno prima appariva impervia, il Salone del Libro anche quest'anno si è tenuto e chiuderà domani. Eppure sono stati mesi difficili, l'esito non era affatto scontato, gli equilibri fra le parti in causa talvolta precari, pesante la situazione economica ereditata dal passato, scomodo il ruolo della politica (per una volta li capisco, gli amministratori: impensabile non farlo, questo Salone).

A noi del Circolo dei lettori - espressione della Regione Piemonte - è stato chiesto di organizzare la manifestazione nei minimi dettagli, insieme alla Fondazione per la Cultura - espressone del Comune di Torino. I direttori a capo di questi due enti sono seri professionisti: Maurizia Rebola e Angela La Rotella hanno lavorato benissimo, nonostante non ci sia stato giorno senza che qualcuno provasse a seminare zizzania ed eccesso di competitività. Siamo stati chiamati, diciamolo, a salvare la baracca: se prima fossero stati più attenti e oculati non ci sarebbe stato bisogno di noi.

Fare un Salone non significa soltanto invitare autori, scrittori, inventarsi convegni, insomma stilare un buon programma. È pressoché il minimo sindacale, quando hai il supporto degli editori, una squadra rodata e una decina di consulenti anche se in buona parte espressione - lo ha sottolineato su queste colonne Luigi Mascheroni - di un pensiero unico non più al passo con i tempi. Fare un Salone, per giunta col denaro pubblico, significa non buttare soldi dalla finestra, saper tenere a posto il bilancio, non aggravare lo stato debitorio, contenere i costi senza apparire micragnosi. In molti pensano che il ruolo decisivo spetti al direttore artistico, deus ex machina plenipotenziario: non è così. Una fiera (perché di questo si tratta) affronta questioni ben più prosaiche, dalle commissioni di vigilanza alla vendita degli stand, dalla sicurezza alle gare d'appalto. Un lavoro oscuro ma indispensabile che avrebbe dovuto ottenere un riconoscimento maggiore dai media e dalle istituzioni, e che invece è passato in sordina per non urtare l'ego ipertrofico di qualcuno. Approfitto dell'occasione per ringraziare Rebola, La Rotella e lo staff del Circolo dei lettori, ragazze e ragazzi bravissimi: senza di loro (senza di noi che ci siamo presi l'onere di apporre la firma lì dove si doveva) il Salone non si sarebbe mai inaugurato.

Ma non importa, noi siamo prima di tutto cittadini, affezionati al bene comune, ampiamente post-ideologici e se la politica ci affida un mandato cerchiamo di portarlo a termine. Quindi fino a domani dimentichiamo scricchiolii, divisioni, disaccordi, scelte non condivisibili, chiudiamo in bellezza e guardiamo all'edizione 2019 indipendentemente da chi se ne occuperà. Siamo cittadini, dunque ci importa innanzitutto il futuro dei dipendenti di ciò che fu la Fondazione per il Libro, visto che il lavoro è il primo diritto. Ci interessa che i fornitori vengano pagati, perché senza soldi le famiglie non vivono e sarebbe ingiusto rimanessero col cerino in mano. Poi ci vorrebbe una strategia di snellimento, perché di quel vecchio baraccone ingestibile (che senso ha una Fondazione così grossa per un evento di pochi giorni? Dimagrire ed esternalizzare i servizi è l'unica strada possibile) si deve saper fare a meno. So che questi dati sono molto meno interessanti di una lectio magistralis, dell'ultimo bestseller o del ritorno dei grandi editori. Però noi siamo prima di tutto cittadini.

«Intellettuali» è solo un sostantivo che in troppi si attribuiscono senza particolari meriti.

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