Economia

Nozze Mps prima dell'addio di Draghi

Il Tesoro programma l'uscita dal capitale in tempo per evitare il cambio alla Bce. Pesa anche l'incognita del nuovo governo

Nozze Mps prima dell'addio di Draghi

Il Monte dei Paschi ha continuato la corsa in Piazza Affari dopo la volata del 17% di venerdì, innescata dal ritorno all'utile nel primo trimestre: ieri il titolo ha guadagnato un altro 2,5% attestandosi a 3,28 euro. Un buon biglietto da visita per l'ad Marco Morelli che ieri è volato a Londra per un roadshow di due giorni con gli investitori che proseguirà poi domani a Milano.
L'obiettivo è convincere la City che per Rocca Salimbeni si tratta di un primo passo per tornare ad essere una banca «normale». Che significa anche non avere più come azionista di controllo lo Stato. Dopo la ricapitalizzazione precauzionale il Tesoro ha in mano il 68% ma il piano industriale, e soprattutto gli accordi presi con Bruxelles e Francoforte, prevedono l'uscita del socio pubblico entro il 2021. La missione cui starebbero lavorando i tecnici del ministero è però quella di anticipare la partenza impostando la tabella di marcia a prescindere da chi prenderà il posto di Pier Carlo Padoan in via XX Settembre con il nuovo governo. Il vero obiettivo è chiudere la partita sul Monte prima della fine del mandato di Mario Draghi al vertice della Bce atteso nell'autunno del 2019. Tradotto: preparare l'istituto senese per un'aggregazione tra novembre 2018 e gennaio 2019 in modo da sottoporre l'operazione all'assemblea dei soci sul bilancio fissata in primavera.

La fusione «è un'ipotesi che non è presa in considerazione», aveva detto Padoan lo scorso 25 febbraio impegnato nella campagna elettorale a Siena come candidato del Pd. Ma il giorno dopo il capo della sua segreteria tecnica del Tesoro, Fabrizio Pagani, in un'intervista aveva detto chiaramente che Mps potrebbe fondersi con un'altra banca «quest'anno». In gioco c'è il ritorno alla redditività della banca: l'utile del trimestre è stato conquistato anche grazie al taglio dei costi. E gli analisti di Equita Sim e Banca Imi ieri hanno puntato il dito sia sulla riduzione dei crediti problematici sia sul valore del Cet 1, l'indice di tenuta patrimoniale, che rischia di scendere sotto l'11 per cento. Non solo. In caso di bisogno, il Tesoro non sarà in grado di investire alte risorse per dare ossigeno al Monte. Per questo serve un'aggregazione con un cavaliere bianco ancora da trovare. Di certo, è interesse dell'intero sistema bancario che la questione sia risolta prima dell'addio di Draghi che dello stesso sistema si è fatto garante finora in Europa. La tempistica è decisiva e non può essere scandita dall'orologio della politica romana. A fine marzo il titolo Mps aveva archiviato una serie di sedute in rosso in Borsa complice la «fuga» di alcuni fondi stranieri preoccupati per l'esito delle elezioni considerando i desiderata espressi in passato da alcuni rappresentanti di Lega e 5 Stelle ad avere un Monte di Stato a tempo indeterminato.

Ora il futuro del Monte è sparito dai manifesti del Carroccio e dei grillini (che fra l'altro non correranno con un loro candidato alle Comunali senesi di giugno). Forse anche perchè hanno capito che, al netto della propaganda elettorale, per nazionalizzare a tempo indeterminato il Montepaschi si dovrebbero modificare gli accordi presi con Commissione Ue e Bce al momento del salvataggio pubblico.

Con conseguenze imprevedibili.

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