Economia

Dal dollaro e dai T-Bond Usa doppia mazzata sull'Argentina

Continua la caduta del peso: -12% in 18 giorni. Attesa per l'asta dei titoli a breve, timori per gli aiuti del Fmi

Dal dollaro e dai T-Bond Usa doppia mazzata sull'Argentina

Se va avanti così, il tentativo dell'Argentina di evitare una nuova bancarotta rischia di avere lo stesso successo di chi prova a fermare una valanga con le mani. Brutte notizie, per Buenos Aires, arrivano infatti dagli Stati Uniti, dove ieri i T-Bond decennali hanno di nuovo superato la soglia psicologica del 3% e il dollaro ha continuato a rafforzarsi nei confronti delle altre valute. A cominciare da quelle dei Paesi emergenti. Nella notte italiana di lunedì scorso, il peso argentino ha bucato quota 25 contro il biglietto Usa. Negli ultimi 12 giorni il tonfo è stato pari al 18%, nonostante le misure di emergenza adottate dalla banca centrale del Paese sudamericano, costretta ad alzare in tre riunioni i tassi di interesse dal 27 al 40% e ad attingere pesantemente - si parla di oltre cinque di dollari - alle riserve valutarie. Da parte degli investitori la cautela è massima, in attesa di conoscere l'esito dell'asta dei bond a breve (i Lebac) e dei tempi che saranno richiesti per l'erogazione degli aiuti, sollecitati dal presidente Mauricio Macri, da parte del Fondo monetario internazionale.

L'attenzione dei mercati resta però concentrata anche sugli Usa. Gli analisti hanno ricondotto la risalita dei rendimenti sulle obbligazioni a 10 anni al dato di aprile sulle vendite al dettaglio, aumentate del 4,7% annuale, un andamento che a prima vista pare confermare la solidità della crescita. Robert Kaplan, presidente della Federal Reserve di Dallas, ha però detto ieri di ritenere «difficile» un'espansione del 3%, il target minimo stabilito da Donald Trump, e di considerare «molto più probabile» un +2,5-2,75% del Pil. Considerazioni più prudenti rispetto a quelle fatte dal numero uno della banca centrale Usa, Jerome Powell, che rendono così ancora più complicato il rebus-tassi. La Fed non ha ancora chiarito se entro la fine dell'anno alzerà due o tre volte il costo del denaro. Kaplan si è limitato a precisare che continuare la stretta, seppur in modo «graduale e paziente», è la «cosa giusta da fare». Con ciò dando ragione a quanti sono convinti che Eccles Building stia tenendo coperte le carte in attesa di meglio valutare i rischi che potrebbero far deragliare la stessa crescita americana. L'impatto di una guerra commerciale provocata dall'imposizione dei dazi non è ancora calcolabile, nè a quale livello si troveranno fra qualche mese i prezzi del petrolio, ora in tensione (il Brent ha sfiorato ieri gli 80 dollari il barile) a causa delle tensioni geo-politiche in Medio Oriente.

Ma non facendo chiarezza sulla prossime mosse, la Fed si muove sul filo del rasoio: la crisi argentina potrebbe essere solo il primo sintomo di guai in vista a livello globale.

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