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Il sì costa tredici milioni Mancio vuole sistemare i conti con la Nazionale

Da giocatore rapporto tormentato con l'azzurro Con Bearzot, Vicini e Sacchi mai protagonista

Il sì costa tredici milioni Mancio vuole sistemare i conti con la Nazionale

di Tony Damascelli

In fondo, la sua è stata sempre una questione di denari. Quando Paolo Mantovani decise, su idea di Paolo Borea, di portarlo alla Sampdoria, pagò al Bologna due miliardi e mezzo più Galdiolo, Logozzo e Roselli, per l'epoca erano soldoni. Mantovani, ricoverato a Phoenix in Arizona, per un intervento al cuore, mi spiegò al telefono quella cifra: «Lei pensa che, avendo io deciso di girare un film su Gesù Cristo, poi debba risparmiare sulla croce?». No, presidente, la croce era delizia, il Bimbo, come lo chiamavano a Bologna e dintorni, quel ragazzino marchigiano di Jesi, comprato per lire cinquecentomila dall'Aurora, era il talento del presente e del futuro.

Quell'affare provocò la furia di Gigi Radice, ex trainer del Bologna: «È uno scandalo, pagare quei soldi per un sedicenne non è morale». La morale nel football è un'idea come un'altra, Genova per lui, Mancini, fu una vita bella, vissuta da figlio prediletto di Mantovani che ne curava addirittura il patrimonio crescente, quaranta milioni all'anno, roba da perdere la testa anche per papà Aldo che già sapeva di avere un figlio d'oro, ma in un altro senso.

Roberto Mancini è nato con la camicia, d'accordo, ma di seta pura. Non è mai stato uno furbastro, ambiguo, piuttosto diretto e fumantino. Per rendere l'idea e per capire in che mani sono messi gli allenatori italiani, il presidente degli stessi, il leninista Ulivieri Renzo uno che invece di «Bella Ciao» canta «Belli, rimango», non soltanto lo voleva costringere a giocare da punta centrale ma, agli inizi della carriera da allenatore, profetizzò: «Gli manca la paraculaggine, è troppo spontaneo, in questo mestiere bisogna saper fingere», forse pensando a se stesso. Mancini, in effetti, sa anche abbandonare il ciuffo e l'eleganza che si porta appresso da sempre, nei dribbling prima e nelle lezioni di gioco dopo. Ne sanno qualcosa Bersellini ma soprattutto l'arbitro Boschi per un rigore fischiato per fallo di mano di Vierchowod: «I tifosi dovrebbero invadere il campo e darle a certi arbitri, invece di picchiarsi tra loro». Venne anche un altro tipo che Mancini oggi si ritrova, come l'Ulivieri di cui sopra, tra i ranghi federali. Trattasi di Nicchi Marcello, oggi capo dell'Aia, allora arbitro il cinque di novembre del Novantacinque, roba fresca recente, di Sampdoria-Inter; Pagliuca interviene fallosamente su Mancini ma Nicchi non fischia, il gioco continua, Mancini per tre minuti insulta l'arbitro che decide di mandarlo fuori. Sei giornate di squalifica, credo che Nicchi conservi la memoria, Mancini ha avuto altro cui pensare.

C'è stata la nazionale nel frattempo, storia tormentata, fuga notturna a New York, in locali astuti, il 54 per dire, insieme con Gentile e Tardelli, il Bimbo non viene perdonato da Bearzot che decide di cancellarlo dalle future convocazioni. Non va meglio con Vicini, le notti magiche sono di altri. Mancio ha voglie diverse, gli piace l'Inghilterra, va al Leicester per mesi sei, d'improvviso si appalesa Vittorio Cecchi Gori, uomo di cinema e lo porta alla Fiorentina come allenatore. Mancini non ha le carte per il ruolo, ci pensa Petrucci con deroga ad personam, la casta ha l'allergia per questo raccomandato, lo assorbe ma non lo tollera.

L'almanacco segnala avventure con Fiorentina, Lazio, Inter, Manchester City, Galatasaray, di nuovo Inter poi la Russia e lo Zenit di San Pietroburgo, lasciata per un pugno di 13 milioni di euro, in cambio della mancia di milioni due, che gli garantisce la nazionale d'Italia, finalmente sua. Incomincia l'avventura, tra qualche rosicone, Sarri gli diede del frocio, oggi dovrà ubbidire alle convocazioni. Mancini Roberto non è più Bimbo, è uomo di fede religiosa, elegante, sciarpato e non, ha carisma, personalità, talento, esperienza, in breve, tutto quello che serve per riportare l'Italia alla dignità smarrita.

Gli manca forse la paraculaggine, ma quella è roba da Ulivieri.

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