Cultura e Spettacoli

Bacon e Giacometti, due geni "quasi amici": una gara di bravura nel ritrarre la figura umana

In mostra le opere dei due grandi artisti a confronto, con molti punti in comune

Bacon e Giacometti, due geni "quasi amici": una gara di bravura nel ritrarre la figura umana

Alberto Giacometti, lo scultore dei silenzi, e Francis Bacon, il pittore delle urla, furono «quasi amici». La storia di questa affinità elettiva che non ha avuto tempo per diventare più profonda merita di essere narrata: lo fa la Fondation Beyeler allestendo nei suoi luminosi spazi espositivi di Riehen, appena fuori Basilea, una di quelle mostre difficili da dimenticare (e da replicare): il pubblico di appassionati in arrivo tra poche settimane per Art Basel l'ha già posta in cima all'elenco delle esposizioni da non perdere.

Bacon-Giacometti (fino al 2 settembre) prende il via da una fotografia, scattata nel '65 alla Tate di Londra: i due uomini il pittore irlandese Bacon, all'epoca 56enne, in giacca e maglione, e lo scultore svizzero Giacometti, esile e più anziano di otto anni, sarebbe morto solo pochi mesi dopo si guardano negli occhi. Il 23enne Graham Keen, studioso d'arte e grande fan di Giacometti, li osserva dall'obbiettivo, a riverente distanza: lo scultore sta allestendo la sua personale e appare pensieroso, Bacon si avvicina per parlargli. Paiono conoscersi bene. I critici dell'epoca avevano sovente accostato i loro nomi quale esempio di esistenzialismo «alla Sartre», ma in un percorso di cento opere alcune celebri, come L'uomo che cammina di Giacometti o Studio per il ritratto VII di Bacon, in prestito dal MoMa, altre mai esposte prima come alcuni gessi dello scultore - i curatori Catherine Grenier, direttrice della Fondation Giacometti di Parigi, Michael Peppiatt, amico personale di Bacon, e Ulf Küster, ci svelano che le cose non stanno esattamente così. Sono ben altre le convergenze tra i due. La prima delle quali è Isabel Rawsthorne. È lei che li fece conoscere: intima amica di entrambi, è stata modella e pittrice con fama di mangia-uomini solo perché era un'intellettuale poco convenzionale persino per la Parigi degli anni Trenta. A quell'epoca conosce Giacometti (diventano per un breve periodo amanti, finita la guerra). Della testa e del corpo di Isabel lo scultore fa un santino, modellandola prima nella ieratica posa di una novella Nefertiti poi, dopo averla vista passeggiare per Boulevard Saint-Michel, «riducendola in scala». Ha inizio così l'ossessione giacomettiana per figurine sempre più piccole e sottili: il corpo dell'amante si dissolve, l'artista elabora in scultura la dissolvenza ottica. Negli anni '60 anche Bacon è sedotto da Isabel: la dipinge nello strepitoso Ritratto in piedi in una strada di Soho come elegante femme fatale dallo sguardo felino.

Altro che esistenzialisti: Giacometti e Bacon erano profondamente affascinati dalla fisicità. La figura umana è l'incontrastata protagonista della mostra dove i lavori dei due sono felicemente accostati per nove sale. Leggendo i documenti sulla genesi delle opere esposte, emergono aspetti comuni. Giacometti scavando sempre più nervosamente nella materia, Bacon muovendo sempre più vorticosamente il pennello sulla tela avevano un modus operandi simile: si ostinavano a fare e rifare gli stessi modelli, con una rabbia che sarebbe meglio definire violenza creativa, dunque vitale, non certo «esistenzialistica» e rinunciataria. In mostra (dove spicca una sezione di ritratti: una mostra nella mostra) li vediamo riflettere in parallelo, ben prima di incontrarsi, sulla rappresentazione del corpo nello spazio e sul senso del limite: la celeberrima Boule suspendue e Il naso di Giacometti e le Figure in movimento (in realtà creature antropomorfe ingabbiate) di Bacon danno vita a una delle sale più intriganti dell'esposizione.

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