Politica

Per evitare la spaccatura l'assemblea Pd congela le dimissioni di Renzi

Prima dell'assemblea del Pd i renziani raccoglono le firme per andare subito al congresso. La minoranza, invece, raccoglie firme per confermare Martina alla guida del partito

Per evitare la spaccatura l'assemblea Pd congela le dimissioni di Renzi

Con l'inno di Mameli ha preso il via l'assemblea nazionale del Pd. Presente, tra gli altri, anche il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. I lavori partono con un minuto di silenzio per ricordare tutte le vittime del lavoro. Per evitare la spaccatura del partito avanza l'idea di "congelare" le dimissioni di Renzi da segretario, per lasciare Martina come "reggente". "Abbiamo all’ordine del giorno le dimissioni del segretario e gli adempimenti conseguenti - dice il presidente Matteo Orfini a inzio lavori -. Molti, in queste settimane e in queste ore, hanno chiesto di cambiare la natura di questa nostra Assemblea di oggi per dedicarla a una discussione politica su quel che avviene nel Paese, con la possibile nascita di un governo Lega-M5s. Noi come presidenza ci siamo fatti carico di ascoltare nel moldo pù largo possibile, e proponiamo di accettare all’unanimità questa richiesta". L'assemblea approva a maggioranza la modifica dell'ordine del giorno: congelate le dimissioni di Renzi, Martina resta reggente: 397 i voti a favore, 221 contrari, 6 gli astenuti. Approvata, dunque, la linea dei renziani. Ma il malumore serpeggia. Fischi, "buuuu" e molto nervosismo in platea quando Orfini annuncia l'intenzione di mettere in votazione il rinvio dell'ordine del giorno della riunione: "Siamo in un partito democratico, chi vuole fischiare lo faccia fuori. Chi vuole, voti alzando la delega. Questo distingue il Pd da altre forze politiche", ha ammonito Orfini. Al momento della lettura del risultato del voto è però partito qualche altro fischio e qualche altro 'buuuu'. "Anche basta!", ha sbottato ancora il presidente del partito.

"Vi ringrazio per la vostra presenza qui, ora è il momento di far fronte alle sfide politiche e a quelle del lavoro, come ci testimoniano le recenti morti bianche", dice Maurizio Martina nella sua relazione. "C'è qualcosa di molto profondo che dobbiamo capire per costruire l'alternativa". E prosegue: "Quale idea di democrazia hanno M5S e Lega, se riducono tutto a un contratto di natura privatistica? Mai l'Italia ha visto una cosa simile".

"Il contratto Lega-M5s - va avanti Martina - è un libro a metà tra un racconto dei sogni e uno degli orrori. Commetteremmo un grave errore a pensare di reagire a quello che accade lanciando solo anatemi. Fa riflettere - ha aggiunto - il fatto che chi ha combattuto con forza la nostra riforma costituzionale oggi non si faccia sentire di fronte a tutto questo. Lo dico ricordando un filosofo francese che diceva che la sinistra chiama populismo tutto ciò che non riesce a capire. Sappiamo che c’è una geografia del risentimento che sta scombinando antiche certezze. In un bellissimo saggio, uno scrittore indiano riflette sul ritorno del nazionalismo dentro questo tempo. Il nostro compito - ha detto ancora - è davvero quello di costruire l’alternativa. Rimango convinto che fosse giusto sfidare il Movimento 5 Stele su questioni di merito, avremmo reso più evidenti le contraddizioni e i limiti che oggi vediamo nero su bianco. Quale idea della democrazia hanno se riducono tutto a un contratto di tipo privatistico tra due leader. Quale idea di democrazia hanno se si presuppone che gli eletti siano lì per il proprio partito e non per il Paese".

"Di Maio e Salvini stanno portando l'Italia nel passato - tuona Martina - non ve lo consentiremo. Altro che governo del cambiamento, questa è la restaurazione. Il contratto è grave, perché è ingiusto, iniquo per gli italiani. E' il contratto della paura, renderà il Paese più debole e allargherà le distanze tra chi sta peggio e chi sta meglio. Al contratto tra due noi dobbiamo contrapporre un nuovo patto sociale tra tanti. Loro il contratto, noi comunità. Dobbiamo rispondere con un progetto aperto, sfidante, nuovo".

Prima dell'inizio dei lavori si è trattato senza soste per trovare una linea unitaria. "C’è la possibilità di fare una buona assemblea dall’esito condiviso. Adesso è importante lavorare insieme contro un governo nettamente caratterizzato a destra", dice il coordinatore della segreteria del Pd, Lorenzo Guerini, arrivando alla riunione del partito. "Una resa dei conti? Assolutamente no", ha aggiunto. Ma i segnali di distensione non sono così forti. Nessuna intesa è stata raggiunta sul percorso che dovrà portare il partito a designare il nuovo segretario. Fonti della minoranza interna fanno infatti sapere di avere avviato la raccolta delle firme per proporre la candidatura del reggente, Maurizio Martina. Come andrà a finire? Tra poco lo sapremo. Sono mille delegati che s ritrovano all'hotel Ergife di Roma per decidere la strada che il partito dovrà percorrere. Due i fronti contrapposti: da un lato c'è la minoranza che sostiene la candidatura del reggente Martina, dall'altro c'è il gruppo dei fedelissimi renziani che vogliono andare al congresso.

Il deputato Roberto Giachetti auspica che non si vada alla conta: "Il problema è capire su cosa ci si conta. Mi auguro che plani in Assemblea la politica e non ci si conti come le pecore...". Il senatore Luigi Zanda non si sbilancia troppo: "Vediamo cosa deciderà l’Assemblea. Sicuramente il congresso si farà entro l’anno".

Certosino il lavoro dei "pontieri", i dirigenti che cercando di evitare che il partito si spacchi, tenendo unite (ove possibile) le due anime del Pd, quella che sostiene Matteo Renzi e quella che chiede un voto su Martina, per confermarne la guida da qui alle prossime primarie. I renziani presenti in platea sottolineano come sia "assurdo" spaccarsi su chi deve guidare il partito da qui a un congresso che si annuncia prossimo e, soprattutto, che questo avvenga nel momento in cui si sta per insediare una govenro "fortemente caratterizzato a destra", come quello Lega-M5s.

Ma queste parole per i non-renziani nascondono la paura di vedere fortemente ridimensionato il proprio peso in assemblea: una conta interna certificherebbe quello che è noto a molti e cioè che i rapporti di forza dentro il partito sono cambiati rispetto a un anno fa, quando Renzi poteva contare su circa il 70% dei 1000 delegati.

Commenti