Cronache

Tutto, ma in cella con Sgarbi no

Ci risiamo con la condanna al carcere per i giornalisti, in questo caso un opinionista (Vittorio Sgarbi) e un direttore (io), per omesso controllo

Tutto, ma in cella con Sgarbi no

Ci risiamo con la condanna al carcere per i giornalisti, in questo caso un opinionista (Vittorio Sgarbi) e un direttore (io), per omesso controllo. La sentenza di primo grado, firmata da un solerte giudice del tribunale di Monza, riguarda un articolo scritto da Sgarbi sulle minacce ricevute dal pm palermitano Nino Di Matteo, quello del presunto complotto Stato-Mafia, più noto per essere un pupillo dei grillini e star nei dibattiti televisivi nei quali non perde occasione di ripetere che a suo avviso Silvio Berlusconi è colluso con la mafia (roba questa sì da querela).

La libertà di espressione e di opinione che lui pratica a piene mani, Di Matteo la nega a Vittorio Sgarbi, e per questo lo ha querelato. Del resto Sgarbi, non essendo un magistrato, non gode delle stesse libertà e immunità della sacra casta togata, in più scrive liberamente su Il Giornale e quindi peste lo colga! Devo dire che «controllare» Sgarbi non è proprio la cosa più semplice per un direttore. È un lavoro nel lavoro, faticoso, ma noi ne andiamo fieri: meglio un mattacchione dalla testa fina che un precisino dalla testa vuota. Devo però dire che questa volta Vittorio era stato inappuntabile. Nessun insulto, niente allusioni. Aveva espresso una sua opinione seguendo il filo della logica. Basta - aveva sostenuto - enfatizzare le presunte minacce di Totò Riina al pm Di Matteo perché così si fa apparire l'ex capo della mafia ancora potente nonostante da più di vent'anni sia ben rinchiuso in un carcere supercontrollato. Non alimentiamo la leggenda - scriveva ancora -, altrimenti Di Matteo ne diventa complice, garantendone peso e considerazione.

Tutto qui. Uno può essere d'accordo con questa tesi oppure no, ma dove sta l'offesa, la diffamazione? A differenza di Di Matteo, che dà del mafioso a Berlusconi senza alcun riscontro, Sgarbi non ha minimamente adombrato la mafiosità di Di Matteo. Ha solo detto che la piantasse di fare il martire perché con il suo atteggiamento rafforzava l'immagine di una mafia onnipotente. Sono fiducioso - come si dice in questi casi - nella saggezza dei giudici di appello. E, se proprio dovesse andare male, chiederò celle - meglio, carceri - separate.

Espiare la pena con Vittorio è un'aggravante che non merito.

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