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Dalle trincee alla morte. Ecco l’Hitler segreto

L’analisi dei resti conferma: si uccise nel bunker Ma la svolta per lui fu dopo la Grande guerra

Dalle trincee alla morte. Ecco l’Hitler segreto

L’uomo del Ventesimo secolo più studiato? Sicuramente Adolf Hitler. L’uomo del Ventesimo secolo su cui continuano a circolare più dubbi? Sempre lui, Adolf Hitler. Si discute di come ha sviluppato le idee che hanno preso corpo nel Mein Kampf, del perché abbia deciso di far scattare l’operazione Barbarossa, se davvero, come dicono i libri di storia, è morto nel bunker della cancelleria il 30 aprile del 1945 oppure se sia riuscito a fuggire in Sud America. Può parere paradossale che i dubbi più grossi abbiano continuato a circolare proprio sulla morte del fondatore del nazionalsocialismo. I russi affermano sin dalla fine del conflitto di possedere i frammenti del teschio del dittatore e della sua mascella. Ma sono sempre stati molto restii a far esaminare la loro documentazione (e il reperto), sempre fatta trapelare col contagocce da quando nel 1968 il giornalista russo Lev Bezymenski fu autorizzato a pubblicare parte dei dossier ufficiali nel libro La morte di Adolf Hitler. Però sui frammenti di teschio hanno a lungo circolato dubbi della più varia natura, dubbi che hanno spinto gli archivisti del Garf (rimasti sempre un po’ sovietici nello stile) a chiudersi a riccio. Ora però la documentarista russa Lana Parshina e il giornalista francese Jean-Christophe Brisard sono riusciti a farsi fornire dai russi un accesso quasi completo alle carte e ai reperti. Il risultato è un libro appena pubblicato sia in Francia sia in Italia: L’ultimo mistero di Hitler. L’inchiesta definitiva sugli ultimi giorni e la morte del dittatore nazista (Ponte alle grazie, pagg. 410, euro 19). Come ha spiegato Brisard al pubblico di èStoria (nell’incontro «Hitler nascosto: dalla Grande guerra alla morte»), coadiuvati da una serie di esperti, e da grandissima pazienza, lui e la sua collega hanno riesaminato tutto: resti mortali e documentazione. Le parti di calotta cranica, i denti e i pezzi di protesi dentarie. Secondo loro non c’è alcun dubbio: quelli in possesso degli archivi russi sono davvero i resti mortali di Hitler. Che vennero dati alle fiamme subito dopo la sua morte. La dentatura e le protesi corrispondono perfettamente alle radiografie del Führer del 1944, ci sono tracce di tartaro e di usura che confermano si tratti di veri denti umani (sarebbe impossibile replicarli in laboratorio) e, per di più, inglobate nel tartaro solo fibre vegetali e Hitler era vegetariano. Meno chiaro dai resti se Hitler si sia sparato come raccontato da più testimoni o abbia usato del cianuro per uccidersi. Forse entrambe le cose, delle tracce blu sui denti fanno sospettare abbia assunto anche del cianuro. Ma di certo, se si è sparato, non si è sparato in bocca. Resterebbero tracce chimiche sui denti che non ci sono. Non esiste allora nessun mistero da svelare su Hitler? Sì, se c’è una parte della vita di Hitler che è stata davvero poco indagata è la sua giovinezza, non le sue ultime ore. E, infatti, quella parte della sua vita si è rivelata una vera miniera di novità per l’altro storico venuto a parlare del Führer a èStoria, ovvero Thomas Weber, uno dei più apprezzati biografi di Hitler. Weber, che ha studiato gli archivi militari e ha ricostruito la vita di Hitler come fante della Prima guerra mondiale, dice al Giornale: «Hitler è uno dei personaggi della storia più studiati, è stata una sorpresa per me scoprire che sulla sua partecipazione alla Prima guerra mondiale si fosse indagato così poco. E le carte ufficiali del suo reggimento mi hanno consentito di andare oltre la propaganda nazista sulle sue imprese in guerra. Ho indagato sull’intero reggimento, sino a rintracciare lettere e materiali scritti da soldati che conoscevano bene Hitler. Ad esempio la visione di un Hitler eroico portaordini, che corre da trincea a trincea, non corrisponde alla realtà. Svolgeva quel ruolo per i comandi reggimentali ad alcuni chilometri dalla prima linea. Si intenda, non era una passeggiata, ma i camerati di Hitler in prima linea non lo prendevano molto sul serio. Di sicuro non lo consideravano un leader, era un timido e un solitario. Né in lui trapelava un sentimento di antisemitismo particolarmente acceso. Solo a posteriori lui stesso ha mitizzato la sua partecipazione al conflitto e il suo ascendente sulla truppa». Ma allora l’Hitler capopopolo e capace di tenere discorsi dalla devastante forza di convincimento? «Sul tema ho appena scritto un libro, non ancora pubblicato in Italia. Può sembrare incredibile ma l’Hitler che conosciamo nasce soltanto nel 1919 – spiega Weber - Hitler temeva che con il disarmo imposto dalla fine della guerra sarebbe stato cacciato dall’esercito. Si sentì completamente perso, cercò di ritagliarsi un ruolo come motivatore e tenendo discorsi ai soldati. Frequentò anche un corso di propaganda. Non pare la sua oratoria fosse particolarmente apprezzata, una volta dovettero intervenire per salvarlo da soldati che lo stavano aggredendo. Quando venne mandato ad osservare le mosse del nascente partito nazista scoprì, invece, che in quel contesto la sua oratoria si rivelava efficacissima, aveva una nuova “casa”. Si può quasi dire che nel 1919 la personalità di Hitler cambiò di colpo». Più difficile capire il perché: «Sicuramente la sconfitta fu un trauma profondo. Probabilmente andò a innescare qualcosa che era rimasto sepolto in Hitler da prima della guerra. C’è un anno della sua vita su cui Hitler ha sempre mentito, c’è un vuoto nella sua biografia tra il 1912 e il 1913. Credo che abbia subito un profondo trauma personale in quel periodo. Anche se è difficile dire quale. Sul finire del conflitto sappiamo anche con sicurezza, ormai, che Hitler fu afflitto da una sorta di cecità isterica. Se si sommano le due cose è facile capire che la sconfitta deve aver scatenato, su un uomo che aveva represso tutta una serie di paure e di emozioni, una enorme reazione, un cambio completo di rotta. Per altro ho chiare evidenze documentali che, se sino al 1919 Hitler non era evidentemente antisemita, nei primi anni Venti aveva già chiara in testa la soluzione finale contro gli ebrei, temeva solo non fosse possibile attuarla. Può essere difficile da credere ma è così».

Se Weber ha ragione i misteri di Hitler vanno cercati molto prima della Seconda guerra mondiale, non nelle ultime ore nel bunker.

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