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Nel contratto di governo manca il quoziente familiare

Nel contratto di governo non c'è il quoziente familiare. Una misura propagandata da entrambe le forze in campo, ma che ora sembra scomparsa. Una rimodulazione fiscale considerata necessaria anche per combattere il progressivo calo del tasso di natalità

Il contratto di governo firmato da Lega e M5s
Il contratto di governo firmato da Lega e M5s

Nel "contratto di governo" non c'è il tanto decantato quoziente familiare. Una misura di cui si discute da decenni, ma che non è mai stata approvata dai vari esecutivi che si sono succeduti.

I programmi elettorali presentati in campagna elettorale dal MoVimento 5 Stelle e dalla Lega Nord, in questo secondo caso quello dell'intera coalizione di centrodestra, erano entrambi incentrati sulla tematica della famiglia. Un ambito che sembrerebbe essere quasi scomparso dalle priorità del futuro (e possibile) "governo del cambiamento". Si parla, questo sì, di asili nido gratuiti.

Come riportato da questo articolo di Avvenire, il punto 7 del programma sottoscritto dalla Lega di Matteo Salvini e il punto 11 di quello dei penstellati guidati di Luigi Di Maio prevedeva l'introduzione di una "grande riforma fiscale per la famiglia". Il modello di riferimento citato, come sempre accade in relazione a questo provvedimento di natura fiscale, era il quoziente familiare alla francese.

Una misura che ha contribuito ad alimentare per la Francia la fama di una sorta di "nazione paradiso" a tutela delle famiglie. Un modello che, secondo i calcoli effettuati dall'ufficio studi della CGIA, stando a quanto si legge su TrueNumbers, consentirebbe ai nuclei familiari italiani col reddito medio-basso di risparmiare parecchio in termini di tassazione.

L'ammissione sugli effetti positivi dell'introduzione di questo quoziente era arrivata, in tempi non sospetti, persino dalla Cgil. Il quoziente costerebbe parecchio allo stato, ma i benefici sarebbero tutti per le famiglie. Matteo Renzi ci aveva pensato, ma poi non se n'è fatto niente. Nel "contratto di governo" c'è il reddito di cittadinanza, ma non il quoziente familiare. C'è l'assistenzialismo, insomma, ma non la riforma struttuale propagandata prima del voto. A meno che per quoziente familiare non si intenda il più o meno generico riferimento al "welfare familiare sul territorio". La linea del MoVimento 5 Stelle, quella meno attenta alla cosiddetta "famiglia tradizionale", quella che apre alla registrazione dei figli per le coppie omosessuali nei comuni di Roma e Torino, sembra aver trionfato rispetto a questo punto del contratto.

Il centrodestra aveva fatto della rimodulazione fiscale sul modello francese e di un grande piano per la natalità due bandiere elettorali: la riduzione delle tasse per un istituto, quello della famiglia, che viene sempre più bistrattato dagli orientamenti culturali contemporanei, era ed è considerato centrale anche per muovere le avvilenti statistiche sul crollo demografico. Sempre più studiosi segnalano come il belpaese abbia, infatti, un problema spesso sottovalutato: il crollo del tasso di natalità. Il quoziente familiare avrebbe sicuramente aiutato a risalire la china. Meno tasse può significare più figli.

Il bioeticista Renzo Puccetti, in un'intervista rilasciataci per il Giornale.it, aveva definito "drammatiche" le conseguenze della situazione complessiva:"Per continuare ad essere un Paese da 60 milioni di residenti ci vorranno 21 milioni di stranieri, oppure ci ridurremo ad essere una nazione delle dimensioni attuali della Polonia con un carico di anziani insostenibile per la popolazione attiva. I bambini italiani diventeranno i Panda del 21º secolo", aveva detto. L'estinzione, per ora, riguarda solo il quoziente familiare.

Un domani potrebbe riguardare le nascite italiane.

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