Cultura e Spettacoli

Milena, la "giornalista" che indagò il caso Franz

Milena, la "giornalista" che indagò il caso Franz

Chissà quel è stato l'ultimo pensiero di Milena, dopo tre anni e mezzo di reclusione, a Ravensbrück. Era stata arrestata dalla Gestapo nel 1940. Di solito, chiacchierava con Margarete Buber-Neumann, pasionaria comunista, in quel luogo definitivo, dove le donne, tante saranno 30mila «muoiono di fame e di freddo, altre soccombono all'angoscia e alla debolezza, altre ancora muoiono perché non sopportano più di vivere». Milena è una giornalista acuta, una donna indipendente, che conosce l'arte di amare e che è stata molto amata. «Verrà davvero il giorno in cui potremo vivere fianco a fianco tedeschi, cechi, francesi, russi, inglesi senza farci del male, senza doverci odiare, senza farci torto a vicenda?», scrive in uno degli ultimi articoli, nel marzo del 1939, con sprint utopico, sul Pritomnost («Il presente»), settimanale di Praga «di tendenza liberal-democratica molto affermato», su cui firmano, per dire, Johannes Urzidil, Arthur Koestler, Heinrich Mann.

Milena viene arrestata con l'intento di essere «rieducata»: in realtà, aiutava i resistenti contro i nazisti. Incontenibile, inafferrabile, è una vita, in verità, che tutti tentano di «rieducare» Milena. Molti anni prima, nel giugno del 1917, poco più che ventenne, viene spedita in manicomio dal padre. «Insania morale», la diagnosi. Milena s'è innamorata di un uomo più grande di lei di dieci anni. E per lui fa tutto, «spende a piene mani il suo e il denaro degli altri e firma cambiali senza l'autorizzazione paterna». Dopo un fiotto di mesi di reclusione, da vera amazzone, Milena, ormai maggiorenne, sposa il suo dandy, Ernst Pollak. Ma l'ultimo pensiero di Milena, prima di morire a Ravensbrück per una infezione renale, non è per il marito. È per quell'uomo dal viso livido come una spada, di cui scrisse, nel 1920, a Max Brod, «i suoi libri sono stupefacenti. Più stupefacente è lui». Esattamente vent'anni prima di morire, nel 1944, reclusa nel più vasto campo di concentramento femminile della Germania hitleriana, Milena Jesenská scrive l'epitaffio per Franz Kafka, sulla rivista Národní Listy, «scrittore di lingua tedesca vissuto a Praga, morto avantieri nel sanatorio di Kierling, presso Klosterneuburg, nei dintorni di Vienna». Con l'arguzia di chi sa trarre auspici dalla corteccia di un albero e individuare il getto di un destino dalla fugacità di uno sguardo, Milena, in righe rapaci, dice tutto di Kafka. «Era un individuo solitario, un uomo che sapeva molte cose, spaventato dalla vita... era timido, scrupoloso, tranquillo e buono, eppure ha scritto libri spietati e dolorosi. Il suo mondo era popolato di demoni invisibili che annientano e dilaniano l'uomo privo di difese». Aveva tradotto Il fuochista, nel 1920, accorgendosi che Kafka non è uno scrittore, è una folla di chiodi incandescenti. Ti stigmatizza. Per la storia della letteratura, Milena è la destinataria delle lettere d'amore più belle che siano mai state scritte. Provateci. Le Lettere a Milena tradizionale traduzione Mondadori, per la cura di Ferruccio Masini e l'italiano di Ervino Pocar e di Enrico Gianni si leggono come un oracolo, strappando le frasi per appiccicarle sul frontespizio dei giorni dispari (Sapevo già cosa avrei trovato nella lettera... lo sapevo come uno che, dopo aver passato l'intera giornata con le finestre chiuse, immerso in un'angoscia di sonno e di sogno, apre di sera la finestra e naturalmente non si stupisce, perché sapeva di trovare il buio, un buio meraviglioso e profondo»).

Tanto ostinato nello splendore e tramortito nella debolezza era Kafka; tanto audace, eccentrica, estrema era Milena. Ora la statura intellettuale di Milena trova giustizia grazie a Qui non può trovarmi nessuno, antologia di scritti giornalistici «dei suoi 400 e più articoli ne sono stati raccolti qui 41» scelti da Dorothea Rein, tradotti da Donatella Frediani e pubblicati, con la consueta raffinatezza editoriale, da Giometti&Antonello (pagg. 252, euro 24), che torna ai lavori dopo la tragica morte di uno dei fondatori, il poeta Danni Antonello, lo scorso ottobre. Milena pratica l'arte giornalistica dal 1919, con arguzia e ambizione. Passa dagli sketch narrativi un pezzo quasi kafkiano sulle Finestre: «Vi è mai capitato, tornando a casa, di levare gli occhi verso le vostre finestre e di non avere più animo di salire?» ai corsivi caustici «Vienna uccide quelli che vogliono realizzare qualcosa, anche quelli che ne hanno la capacità... Vienna è come un pantano» agli articoli di costume quello su Charlie Chaplin, ad esempio, «Chaplin è un uomo di una sensibilità pari a quella di una corda di violino. Tutto ha un volto».

Pensò che Kafka potesse convertirla, riuscisse a torcerle la vita. Era infelice con Pollak («tutti o quasi tutti i matrimoni di oggi sono infelici», scriveva nel 1923, in un pezzo titolato Il diavolo in casa). Si dava alla cocaina. Capì quasi subito che Kafka, autore di lettere deflagranti ma allucinato dall'angoscia, era impedito alla vita. «Tutto questo mondo è e rimane enigmatico per lui», si confessa, a Max Brod. «Tutti noi siamo apparentemente capaci di vivere perché una volta ci siamo rifugiati nella menzogna, nella cecità, nell'entusiasmo, nell'ottimismo, in una convinzione, nel pessimismo o in qualcos'altro. Ma lui non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo. È assolutamente incapace di mentire come è incapace di ubriacarsi. È senza il minimo rifugio, senza un ricovero. Perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo». L'ultima lettera di Kafka è del dicembre 1923. Nei momenti della passione vertiginosa, lo scrittore aveva dedicato a Milena la sola definizione possibile del sentimento amoroso: «Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso». Dopo la morte di Kafka, Milena divorzia dal marito, si risposa, diventa comunista; poi critica l'ideologia sovietica, poi si perde nelle nebbie della morfina, poi Ravensbrück. Gli anni che Milena passa nel campo di concentramento pareggiano gli anni che dura l'amore attraverso lettere che carcerano all'eternità con Kafka.

Una nota, questa, che vale come cifra mistica.

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