Cultura e Spettacoli

Riscaldò la danza col sangue bollente di una vita estrema

La Scala ricorda il ballerino fuggito dall'Urss. Che a Milano conobbe Bolle...

Riscaldò la danza col sangue bollente di una vita estrema

«Aveva il carisma e la semplicità di un uomo della terra, e l'arroganza inaccessibile degli dei». È Rudolf Nureyev, icona della danza del Novecento, secondo la descrizione del collega e conterraneo Michail Baryshnikov. Un artista esplosivo, carismatico, dotato della forza travolgente e spirito di resilienza di chi è forgiato dalla povertà: «Sono figli di contadini», amava ricordare aggiungendo che si era costruito tutto da solo. Uno così non poteva che cambiare le regole della danza, e imprimere svolte. Perché la danza si divide di ante e post Nureyev. A 80 anni dalla nascita (17 marzo 1938) e 25 dalla morte (6 gennaio 1993), il Teatro alla Scala e il suo Corpo di Ballo ricordano l'artista con quattro serate (la prima a favore della Fondazione Rava) il 24, 25, 26 e 29 maggio. In omaggio al tartaro volante sfileranno le étoiles Svetlana Zakharova e Roberto Bolle, più ospiti internazionali come Marianela Nuñez, Vadim Muntagirov, entrambi principal del Royal Ballet, e Germain Louvet, étoile dell'Opéra di Parigi.

Dalla sua prima apparizione alla Scala, nel 1965, accanto a Margot Fonteyn in Romeo e Giulietta, la Scala ha ospitato spesso Nureyev: come ballerino e coreografo. Proprio in occasione d'uno spettacolo a Milano incontrò e folgorò Roberto Bolle, ora étoile scaligera. Era il dicembre 1990. Bolle aveva 15 anni, era un sabato pomeriggio, non c'era più nessuno tranne lui nella sala da ballo quando arrivò quell'idolo sulle punte. Immaginiamo lo sconvolgimento del ragazzo. Bolle racconta spesso l'episodio di Nureyev che gli chiese «di far vedere che cosa sapessi fare. Allora iniziai a fare la sbarra. Lui fece delle correzioni, mi disse come dovevo tenere lo stomaco e i piedi. Mi chiese di rifare l'esercizio». Dopo alcuni giorni arrivava la telefonata dell'agente di Nureyev: Bolle era stato prescelto come Tadzio in Morte a Venezia, per un allestimento a Verona programmato per l'anno successivo. Non se ne fece nulla poiché l'accademia scaligera non diede il permesso a Bolle di lasciare la scuola, lo riteneva troppo giovane. Per il ragazzo fu una tragedia sebbene «col senno di poi, ho compreso che alla fine ero immaturo e non sufficientemente preparato». E comunque quell'incontro fu un'iniezione di energia e di autostima.

Nureyev era nato su un treno della Transiberiana. Il papà era un militare in servizio a Vladivostok, aveva chiesto a sua moglie di raggiungerlo coi tre figli. Dodici giorni di viaggio e Rudolf che nasceva sul treno. La giusta premessa a una vita in viaggio, con tappa fondamentale a Ufa, nella Repubblica di Baschiria, dove trascorse i primi anni ed ebbe le prime lezioni, quindi il Kirov di San Pietroburgo dove studiò e spiccò il volo. E dal 1961, anno della fuga dall'Urss in Occidente, nei teatri del mondo.

L'abbandono e il rientro in Russia nel 1987 - su invito di Gorbachov - contrassegnarono l'acme della Guerra Fredda e il disgelo. Perché Nureyev ha firmato la storia, e non solo della danza. È stato un personaggio, di quelli che riempiono le cronache dell'epoca con fatti veri e presunti, visse d'eccessi e d'estremi: fino alla morte, per Aids, nel 1993.

I colleghi ne riconoscono la personalità incontenibile (per usare un eufemismo), ma allo stesso tempo gli aspetti più dolci di questo uomo che amava ricordare che «il sangue tartaro scorre velocemente e, in qualche modo, è sempre pronto a bollire». Carla Fracci lo ritrae come «artista di sfuriate ma anche di grande tenerezza». E ricorda un sogno ricorrente che le riferiva: «Mi diceva che sognava spesso di salire le scale e in cima c'era la mamma. Era una scala fatta di pane. Questo fa capire tutto il suo background». C'è una cosa su cui tutti concordano: la precisione maniacale chiesta a colleghi e maestranze teatrali. E poi, una forza sovrumana, tale anche negli ultimi anni, quelli della malattia, «doveva fare dialisi ma regolarmente alle 10 di mattina lui era alla sbarra. Anche in quesi momenti di sofferenza aveva una forza sovrumana» (Fracci). «Nureyev è stato una grande lezione di volontà e di forza» (Savignano). Una lezione di modernità. Come coreografo rilesse i classici offrendo versioni ancora oggi riprese. Un artista d'eccessi. Magico. Capace di far sognare il pubblico, che lo adulava. Un uomo di passioni. Perché «se uno non ha passione nelle cose non vive: esiste».

Questo il suo credo.

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