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Nemico, amico, amante... Così Chateaubriand incantava le sue "sorelle"

Nelle lettere delle "amiche" De Custine e De Duras la passione (sublimata) per lo scrittore francese

Nemico, amico, amante... Così Chateaubriand incantava le sue "sorelle"

L'amante et l'amie s'intitola il volume che raccoglie oltre trecento lettere inedite, provenienti da archivi privati, che fra il 1804 e il 1828 videro François de Chateaubriand essere il centro d'interesse di Delphine de Custine e di Claire de Duras (a cura di Marie-Bénédicte Diethelm e Bernard Degout, prefazione di Marc Fumaroli, Gallimard, pagg. 692, euro 39). Se la corrispondenza della prima è il racconto di una passione sempre più esaltata nel suo aspirare a un'unione spirituale e non carnale, via via che la controparte prudentemente si defila, quella della seconda è il racconto di una delusione sentimentale nel momento in cui chi si è ritagliato il ruolo di «sorella per eccellenza» deve amaramente constatare che il mondo «sororale» di Chateaubriand è superaffollato.

Figure agli antipodi, Delphine e Claire fanno parte di quello che sarà un vero e proprio «serraglio» di signore innamorate dell'«Incantatore» del proprio tempo. Fresco di gloria per quel Genio del Cristianesimo allora appena uscito, nel ventennio successivo Chateaubriand farà strage di onori e di cuori: romanziere poetico, viaggiatore e ambasciatore, polemista e uomo politico, all'opposizione durante l'Impero come durante la Restaurazione, amante, di volta in volta e a volte contemporaneamente, di Natalie de Noailles, di Juliette Récamier, di Cordélia de Castellane, per citarne solo alcune... Curiosamente, più gli verrà rimproverato un egoismo e un egotismo incapaci di vera amicizia e/o di vero amore, più amici e amanti gli resteranno fedeli sino alla fine: lo riempiranno di rampogne e di rimproveri, ma non lo tradiranno mai.

In questa «ronda» dei sensi e dei sentimenti, le biografie di Madame de Custine e di Madame de Duras raccontano anche in controluce quel particolare momento della storia di Francia in cui la fine dell'Ancien Régime e la Rivoluzione tengono a battesimo un Ottocento dove vecchio e nuovo si combattono, si alleano, si negano e si giustificano. Nata de Sebran, una nobiltà che risaliva a San Luigi, e andata in sposa all'età di 16 anni al figlio del conte de Custine, Delphine «era una di quelle meravigliose creature che Dio dona al mondo in un momento di munificenza» scriverà la duchessa d'Abrantès, l'amica di Balzac, nella sua Histoire des Salons de Paris. Durante il Terrore era stata romantica e eroica, nonché sessualmente libera. Ventitreenne, la ghigliottina le aveva portato via il marito, ma in carcere ai Carmes e in attesa anche lei di essere mandata al patibolo, aveva vissuto un nuovo amore fatale con Alexandre de Beauharnais, anche lui di lì a breve ghigliottinato e marito di quella Josephine che nelle galere dei «nemici della Rivoluzione» avrebbe con lei condiviso lo sposo e la paura di morire. Liberata dal Termidoro, Josephine diverrà poi la moglie del «Selvaggio», il giovane Napoleone che si fa luce nel Direttorio alla guida della Francia. Non è un caso se Delphine si incapriccerà alla follia dell'altro «Selvaggio» apparso intanto sulla scena, Chateaubriand, appunto, ultimo in ordine di apparizione di un'imponente schiera di amanti: Boissy d'Anglas, Antoine de Lévis, Emmanuele de Grouchy, persino il precettore svizzero di suo figlio Astolphe, il futuro autore delle famose Lettere sulla Russia.

Incapricciatasi alla follia, non è un modo di dire. Delphine, come osserva Fumaroli nella sua introduzione, era «una mistica allo stato selvaggio» e più che dello Chateaubriand in carne e ossa era lo Chateaubriand autore del Genio del Cristianesimo l'oggetto della sua passione: un «Padre della chiesa», ma laico e sposato, nonché l'apologeta dell'indissolubile matrimonio cattolico. Ciò significava trasformare un possibile adulterio in un crimine e condannare l'eventuale amante alla clandestinità o al pubblico abominio. Rispetto agli amori carnali e innocenti della Rivoluzione e della Post-rivoluzione, quello per Chateaubriand doveva essere «puro», un sacrificio alla verginità, piuttosto che un sacrificio della verginità, in senso lato, va da sé. Amarsi, insomma, voleva dire reciprocamente negarsi, soffrire insieme per non dannarsi, arrivare sino ai margini dell'abisso, ma ritirarsi un istante prima. Solo che Chateaubriand era sì un cattolico, ma era soprattutto un peccatore. Quando Delphine se ne rese conto, era già troppo tardi e braccia più carnali avevano preso il posto di quegli abbracci mistici.

Con Claire de Duras, si parte da tutt'altra posizione. Non bella, ma intelligente e brillante, la Rivoluzione le aveva risparmiato la testa del marito, anche se non quella del padre. Non ostile a Napoleone e regina dei salotti all'indomani della Restaurazione di Luigi XVIII, scrittrice di valore, Claire capì fin da subito che il suo non era un amore corrisposto e che il suo ruolo di «sorella» le garantiva però «un luogo del tutto particolare dove regnare senza problemi e senza rivali», come del resto proprio Chateaubriand le aveva suggerito. Così, nei lunghi anni in cui il rapporto si dipana, Claire è il consigliere e l'alleato principe degli sforzi politici dell'amato «fratello». Se lui trionfa è dunque anche un suo trionfo e nessun altro vi si può intromettere. Anche qui però, dietro l'apparente vaghezza dei sentimenti, Claire resta una donna innamorata che ha accettato l'amicizia non potendo fare altrimenti. Ma è un'amicizia gelosa di ogni altra amicizia e che vuole in cambio la più assolta dedizione: lettere frequenti e non sporadiche, lettere lunghe e non biglietti, lettere complici e non di circostanza. È insomma una «sorella» che ha sublimato l'incesto, così come Delphine aveva sublimato la carne...

All'una e all'altra Chateaubriand cerca di dare ciò che può, consapevole del suo essere umano, troppo umano: «La nostra esistenza è un continuo vergognarsi, perché è un susseguirsi di errori.

Nel dolore di giorni lontani, non mi illudevo che quel legame appena rotto sarebbe stato l'ultimo? E tuttavia, come rapidamente ho non dimenticato, ma rimpiazzato, ciò che mi è stato caro».

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