Cronache

Forza e pietà nei 6 anni di Joy La mano è l'addio alla sorella

La piccola, 4 anni, è malata di una forma molto aggressiva di tumore al cervello. Il saluto del fratello

Forza e pietà nei 6 anni di Joy La mano è l'addio alla sorella

Non è quella che accarezza, è l'altra mano. Quella consegnata come scialuppa, rovesciata e goffa perché il dolore non lo si sa toccare: attaccati pure, afferra che ti tengo di qua. E lei stringe, con la forza di cui è capace, gli avvolge il polso. Lui ha sei anni, lei quattro e sta morendo per un tumore al cervello. Sono fratello e sorella. Lo erano. Li abbiamo conosciuti così Adalynn e Joy Sooter di Rodgers, Arkansas, nell'elemento che meno dovrebbe essere naturale a due bambini di quelle età: il pieno dramma.

Era straziante ed era un congedo, che lo capissero fino in fondo o meno. È stato il padre a condividere la foto online, assieme alla rabbia per quella macelleria a cielo aperto che ogni tanto il mondo sembra, assieme all'ingiustizia di veder morire una figlia, di soli quattro anni per di più, e di veder stravolto quello di sei che è rimasto qui. A uno di sei anni cerchi di non raccontarla proprio la morte, di far finta che non esista, neppure quella dell'anziano vicino di casa, lui invece l'ha accarezzata sulla fronte di sua sorella. «Un bambino non dovrebbe dire addio alla sua compagna di giochi, alla sua migliore amica, alla sua sorellina» ha dichiarato in lacrime il papà dei piccoli, Matt Sooter, al Daily Mail, «non è così che dovrebbe andare, ma è questo il mondo in cui viviamo». Era il giorno prima. È stato il giorno prima che Addy se ne andasse che Joy si è attaccato a quel letto dove sua sorella ha trascorso fin troppo tempo. Era il 2016 quando le avevano diagnosticato il Diffuse-Intrinsic-Pontene-Glioma (Dipg), una forma di tumore al cervello molto aggressivo che le è cresciuto dentro fino ad ucciderla e da allora era iniziato il calvario delle cure e dei ricoveri e il conto alla rovescia.

Le ore profumate spente dalla sentenza. Nella foto lei aveva la testa girata verso di lui, gli occhi chiusi da un sonno irrequieto, e quella «manotta» da quattrenne, con le fossette sulle dita, stretta al polso del fratello. Lui le toccava la fronte, le spostava i capelli sottili muovendoli piano, il braccio teso dallo sforzo di non pesare come se la sorella o quella cosa che le stava succedendo, fosse cristallo.

In quella foto Joy ha il corpo terrorizzato, il profilo atterrito ma sta tutto nella tensione di quel piccolo braccio. Tutte le domande che gli passano sotto agli occhi puntati su Addy: ma davvero può morire anche un bambino? Come si dice addio? E dopo cosa succede? Davvero poi non la posso più vedere? E dove va, dopo Addy? Con chi? Chi sta con lei, dopo? E con chi gioca là? Ma si gioca, dove sta andando Addy? Ma poi mi sogna? E la mamma? Addy come fa senza la mamma? E le sue cose? Serviranno ad Addy tutte le sue cose, come fa a prenderle? Sente male da qualche parte? Dorme? Lo sa che sono qui con lei? Le faccio male se le tocco la fronte? Perché non la portiamo a a casa? Se la portiamo a casa poi sta bene, vero papà? Ma davvero Addy sta morendo? Papà..

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