Economia

Draghi stacca la spina al Qe e l'Italia rimane senza scudo

Da ottobre aiuti dimezzati a 15 miliardi e a gennaio lo stop. Il presidente Bce: "Btp? Nessun complotto"

Draghi stacca la spina al Qe e l'Italia rimane senza scudo

La Bce scrive a Riga, in Lettonia, l'ultimo capitolo del quantitative easing, destinato ad arrivare al capolinea a fine dicembre. Per il piano di acquisto titoli si profila però una sorta di eutanasia: la spina non verrà staccata in un sol colpo, ma la dose di aiuti verrà scalata all'inizio di ottobre dagli attuali 30 a 15 miliardi di euro al mese, per poi essere azzerata all'alba del 2019. Insomma, così come mercoledì scorso la Fed aveva scoperto le carte sui rialzi dei tassi, l'Eurotower ha ieri chiarito una volta per tutte la rotta. Senza tentennamenti, con una decisione unanime che (ri)compatta il board e, soprattutto, chiude entro un semestre l'era della liquidità monstre riversata sul mercato per combattere recessione, deflazione e speculazione sui bond sovrani. Anche se Mario Draghi ha precisato che il bazooka «non sta scomparendo, ma rimane nella cassetta degli attrezzi» della banca in caso di nuove emergenze, si volta pagina e al tempo stesso si attenuano le spinte ad accelerare l'avvio del processo di normalizzazione dei tassi, che resteranno a zero «almeno fino all'estate» del prossimo anno. È una mossa da colomba non del tutto scontata alla vigilia, stante le pressioni dell'ala dura del consiglio, premiata dalle Borse (+1,22% Milano, bene il resto d'Europa) e che ha schiacciato l'euro a 1,16 dollari (contro i 18,26 prima delle decisioni della banca centrale) e fatto ripiegare lo spread Btp-Bund a quota 233.

Proprio nella cautela mostrata sul fronte-tassi e dal taglio delle previsioni sul Pil 2018 (da +2,4% a +2,1%, mentre la crescita del 2019 resta +1,9% e quella del 2020 a +1,7%) si intuisce come nei prossimi mesi la Bce intenda navigare a vista. Troppe, del resto, le variabili in grado di condizionarne l'operato. E tra queste c'è anche l'Italia, la cui situazione politica, economica e debitoria - causa tra l'altro del taglio da parte di Fitch delle stime di crescita 2018 all'1,3% dall'1,5% dello scorso marzo, mentre per il 2019 la crescita è confermata all'1,2% - è stata ieri tra gli argomenti clou della conferenza stampa di Mario Draghi. Con risposte un po' laterali («I Paesi dell'eurozona devono approfittare dell'attuale espansione generalizzata in corso per ricostituire margini di manovra nelle finanze pubbliche») ed altre dirette come raramente è capitato di sentire. Tipo questa: «Non paga discutere di qualcosa che è irreversibile come l'euro», perché questo dibattito «può solo fare danni». E se i cambiamenti politici «non vanno troppo drammatizzati» seppur le differenze debbano essere «discusse all'interno dei trattati esistenti», l'incertezza vissuta dal nostro Paese nel periodo del travagliato parto del governo non ha causato «alcun contagio. Se mai c'è stato - ha puntualizzato Draghi - è stato un episodio locale». Inoltre, nessun braccino corto nell'acquisto di Btp allo scopo di piegare l'esecutivo che andava formandosi (erano i giorni dello tra Quirinale e Lega-M5s sulla nomina di Savona all'Economia) su posizioni più filo-europee. E, dunque, nessuna responsabilità diretta sulla fiammata dello spread e nel rialzo dei rendimenti dei bond di quei giorni. «Non c'è nessun complotto sui titoli di Stato italiani - ha spiegato Draghi - . A maggio non solo l'Italia ma anche la Francia, l'Austria e il Belgio hanno visto una quota di acquisti in calo: non è niente nuovo, il risultato di regole decise da tempo. E in ogni caso, «a maggio l'acquisto di 3,6 miliardi di bond italiani è stato più alto dei 3,4 di gennaio e marzo».

Ciò che conta ora è come in prospettiva il governo gestirà la fine del Qe, che comporterà un drastico calo nell'acquisto dei nostri bond da parte della Bce. L'Ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato che se già nel 2018 la quota di acquisti sul mercato secondario era scesa al 24% delle nuove emissioni dal 45% dell'anno prima, nel 2019 il crollo sarà pari al 9,5%. Serviranno compratori privati.

Che già sulle scelte governative di metà ottobre sul programma di stabilità e su quelle di dicembre legate alla Finanziaria 2019 misureranno la voglia di mettere in portafoglio i nostri Btp orfani di SuperMario.

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