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Dopo un secolo di dubbi, scegliamo la certezza

A lungo si è cantato l'elogio dello scetticismo, ma solo prendendo rischi si costruisce il futuro: ecco l'intervento di apertura della "Milanesiana"

Dopo un secolo di dubbi, scegliamo la certezza

Tra dubbio e certezza non ho dubbi: scelgo certezza.

Appartengo in pieno al Novecento, un secolo che ha fatto del dubbio la sua bandiera, ha elogiato, e ostentato, il valore positivo del dubbio. Brecht, Bobbio, il sapere senza fondamenti, la crisi della ragione, il pensiero debole... E per anni e anni anch'io ho esaltato la bellezza senza pari del dubitare, oscillio, dondolio interiore, incertitudine-inquietudine; quella estrema spossatezza e sufficienza del vivere che ci fa dire: non so, so di non sapere, mi astengo, dubito. Ergo sum. Già. Leggevo l'Amleto, con i miei studenti, e Montale. Lodavo il margine, il ciglio, la digressione, ogni sorta di inesistenza, inappartenenza, astensione. La voluttà del non essere. L'immobilità. La perplessità. L'ombra che ci portiamo dietro. «Ah l'uomo che se ne va sicuro,/ agli altri ed a se stesso amico,/ e l'ombra sua non cura che la canicola/ stampa sopra uno scalcinato muro!». Come ho amato quei versi. Mai al mondo avrei voluto essere quell'uomo che se ne va sicuro. Ero fiera di essere dubbiosa. E quindi immobile.

Il dubbio è immobilità. È lui a essere saldo, non la certezza. Chi dubita sta fermo, non prende per nessuna direzione perché sa che tutte le direzioni sono sbagliate: non vere, non giuste. In assenza di verità, ci si astiene. Non si naviga. Si rimane ormeggiati al porto, barche che ondeggiano, ma che una cima tiene saldamente alla bitta del molo. Così si perde il vento. Rainer Maria Rilke: «Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma per noi che sappiamo, anche la brezza sarà preziosa».

Sono la persona più incerta della terra. Scegliere per me è sempre uno strazio. Ma oggi penso che la scelta sia l'atto che maggiormente fonda il nostro essere umani, e anche il nostro stare insieme, la vita sociale, la politica (la penso come Aristotele, a quanto pare...). E la scelta esige non dico la certezza, ma almeno l'astensione dal dubbio. Scegliere è prenderla, una benedetta strada.

Scegliere è fare, è andare. È l'inizio di un'azione, di un'impresa. Ogni impresa è certezza.

Mentre il dubbio alimenta il non andare, non avere meta, girare in tondo, girovagare, vagabondare. Ho subìto molto il fascino di tutti i passeggiatori solitari e di tutti i fannulloni perdigiorno. Ma ora mi chiedo se sia ancora il tempo del non-eroe. Siamo stati «inetti» abbastanza.

Permettetemi oggi di dubitare del dubbio.

Anche dell'assenza di ogni meta. Abbiamo elogiato a sufficienza il viaggio fine a se stesso. Quanto ci siamo beati della poesia Itaca di Konstantinos Kavafis! L'importante è ciò che vedo viaggiando, le persone che incontro, i pensieri che coltivo.

Sì. Ma se invece il bello fosse proprio arrivare? Il momento in cui sbarchi e tocchi terra, entri nella tua casa, abbracci i tuoi cari. Non è per questo che viviamo, per arrivare da loro? Forse, più importante del viaggio, è arrivare a destinazione. E semmai, dopo, ripartire.

Il dubbio è un lusso che ci possiamo concedere quando abbiamo delle certezze. Ulisse può sostare e deviare, e anche tradire, perché sa dove deve andare, ha la sua Itaca in mente che lo guida. Dunque si può fermare anche anni, a «dubitare» davanti al mare...

Ma poi è la certezza che muove le imprese eroiche, non il dubbio. La certezza è l'irrompere dell'irrazionale. È fantasia, è libertà dai freni della ragione. Giasone non sarebbe mai andato a prendere il vello d'oro in Colchide, se avesse ragionato, soppesato, dubitato. E Teseo non si sarebbe mosso da Atene per andare a uccidere il Minotauro. Certezza è anche fidarsi della propria forza, al di là di ogni razionale dubbio. Rasenta la presunzione, la hybris, un pizzico di narcisismo... Può darsi. Ma l'eroe non può permettersi il dubbio, e nemmeno l'umiltà, l'understatement o l'ironia: questi sono gioielli della decadenza.

Certo, il rischio della certezza è l'errore. Se prendo per una strada, posso sbagliare strada. Per questo la certezza mi prende il cuore, per questa percentuale di rischio, sempre possibile, sempre imminente.

Scegliere è sbagliare, spesso. L'eroe antico sceglie, e sbaglia. Sbaglia Medea a seguire Giasone, Arianna ad aiutare Teseo, Dafne a fuggire da Apollo che la insegue? Forse. Ma c'è qualcosa di più complesso, intricato: perché Orfeo si volta a guardare la sua Euridice? Perché Paride rapisce Elena? Che cos'è sbagliare, se non vivere?

Certo, forse sarebbe meglio scegliere e poi dubitare, fermarsi un po', farsi delle domande e, eventualmente, tornare indietro e al bivio prendere l'altra strada. Perché c'è sempre, l'altra strada.

L'eroe però, guarda caso, non lo fa mai di tornare indietro. La sua scelta è sempre, per definizione, univoca e ineluttabile. E quindi tragica. Enea che lascia Didone e parte di soppiatto con le navi un mattino all'alba non torna indietro. E se tornasse sarebbe tardi, Didone comunque s'è già buttata sul rogo. Edipo che inizia l'indagine sull'assassinio di Laio non torna indietro quando comincia a capire che l'assassino è lui, va fino in fondo, fino a togliersi la vista per non vedere. Accecarsi, questo si può fare, ma non tornare indietro.

La scelta dell'eroe non è reversibile, mai. Ci piace ancora molto l'eroismo, oggi, ne siamo attratti, ci piacerebbe avere o essere degli eroi. Ma ci piace l'irreversibilità delle scelte?

Non credo siano tempi d'eroismo. Mancano troppi ingredienti, per esempio il sacrificio, la generosità, la follia. Siamo troppo prudentemente saggi. In questo, siamo molto vecchi.

Siamo figli del dubbio. E il dubbio alimenta il senso d'insicurezza, che è la cifra del nostro tempo (e anche l'origine dei populismi...). Sarebbe meglio averle, oggi, delle convinzioni. Per esempio in campo educativo, politico, economico...

Il dubbio azzera il futuro. Il dubbio può essere solo presente: un tempo statico, immoto.

Il futuro invece s'inventa, è pura immaginazione. E s'immagina partendo, non stando fermi. Il futuro è partenza.

Un saluto a tutti i giovani che partono, che lasciano la propria Itaca e la sogneranno per sempre. Auguriamo loro di tornare.

Tornare e ripartire, fino alla fine.

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