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Reddito di cittadinanza, Di Maio regala stipendi in cambio di otto ore

L'ultima trovata del ministro: «Lavorate gratis per il vostro Comune». Ma Tria lo frena

Reddito di cittadinanza, Di Maio regala stipendi in cambio di otto ore

Il reddito di cittadinanza, ormai si è capito, non ci sarà.

Così il povero Luigi Di Maio, che qualcosa deve pur inventarsi sul tema, butta lì un'idea geniale: i Lavori Socialmente Utili. Li avete già sentiti? In effetti, si tratta di una misura assistenzialista inventata nei lontani anni 80 dai governi pentapartito per distribuire un po' di denari nel Sud. Di Maio la veste di nuovo: sul reddito di cittadinanza «non arretro», garantisce. Ma «l'obiettivo non è dare soldi a una persona per stare seduto sul divano», bensì «riqualificare chi ha perso il lavoro per inserirlo in altri settori». Ecco allora il «patto» proposto dal neo ministro del Lavoro: «Mentre ti formi io investo su di te dandoti un reddito. E tu in cambio dai al tuo sindaco 8 ore di lavoro di pubblica utilità gratuito alla settimana». Lavoro gratuito, ma in cambio di reddito, e socialmente utile. Appunto.

È l'ennesima metamorfosi della promessa elettorale che ha garantito ai Cinque Stelle il voto in massa del Mezzogiorno: si era partiti (e Beppe Grillo ancora lo teorizza) col reddito universale a tutti i cittadini e senza impegno. Una roba che esiste solo in Alaska, dove nessuno vuol vivere visto il clima, e dove lo Stato dà qualche soldo (350 dollari al mese) a chi si trasferisce. Poi si è passati a idee meno stravaganti e - soprattutto - meno mostruosamente costose: una sorta di sussidio di disoccupazione, accompagnato da un percorso di formazione per ricollocarsi nel mondo del lavoro: platea ridotta solo ai disoccupati, e con l'obbligo di accettare poi l'impiego, una volta trovato.

Ieri, annunciata davanti alla platea della Uil, la nuova giravolta, che prevede un ulteriore obbligo: quello di fornire «otto ore almeno» di lavoro «gratuito» agli enti locali.

Per Di Maio si tratta di un tentativo di uscire dal cono d'ombra in cui l'iper protagonismo di Salvini lo ha relegato, e di dimostrare all'elettorato grillino che anche loro incasseranno qualcosa. Ma l'operazione è assai complicata, anche perché ieri il ministro dell'Economia Tria ha detto chiaro e tondo che di reddito di cittadinanza, per ora, non si parla: «Per il 2018 i giochi sono fatti, si faranno riforme strutturali ma senza costi». Ossia: non c'è trippa per gatti.

Peccato che il giorno prima Di Maio avesse annunciato di essere all'opera per «rimettere in sesto i centri per l'impiego, in modo da poter erogare il reddito entro il 2018». Tria smentisce: «Di Maio non mi ha mai espresso questa sua idea, e non commento le dichiarazioni di un altro ministro».

Così Di Maio prova a cambiare versione, e a guadagnare qualche titolo di giornale lanciando l'idea delle «otto ore» a disposizione del sindaco. Le opposizioni lo bersagliano: «Ma dunque il reddito di cittadinanza è la riproposizione dei Lavori socialmente utili?», chiede il Pd Orfini. «L'assistenzialismo cronico dei 5 Stelle è in continua evoluzione», ironizza da Forza Italia Andrea Mandelli. Del resto l'esperienza dei Lavori socialmente utili non andò benissimo: il loro numero lievitò in pochi anni a dismisura, fino a toccare i 170mila a metà dei Novanta, soprattutto in Campania e Sicilia. Un ottimo bacino elettorale per gli enti locali, ma un onere pesantissimo per le finanze pubbliche. Tanto più che i «lavoratori socialmente utili» dopo qualche anno pretendevano di essere stabilizzati a vita. E dunque Di Maio è costretto a chiamare in soccorso i suoi: a sera parte una raffica di dichiarazioni di esponenti M5s per spiegare che «le polemiche delle opposizioni sono inutili» e che «non ci sarà alcun ritorno ai Lsu».

Si attende la nuova puntata.

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