Economia

Trump brucia 100.000 posti nell'auto

Il Pil Usa rallenta (+2% a fine marzo). E la Bce insiste: «I dazi? Un rischio globale»

Trump brucia 100.000 posti nell'auto

Forse perché troppo impegnato nella crociata personale contro Harley-Davidson, accusata di tradire il sacro suolo americano con la delocalizzazione di parte della produzione, Donald Trump non si è accorto che l'imposizione di dazi sulle auto europee rischia di rivelarsi un boomerang pericoloso. In ballo ci sono 100mila posti di lavoro, quanti ne potrebbe perdere l'anno prossimo il settore automotive a stelle e strisce. Il calcolo è contenuto in una ricerca di Oxford Economics che parte da un assunto terra-terra: se le quattro ruote made in Ue costeranno di più, i consumatori americani chiuderanno i portafogli, influenzando direttamente il settore automobilistico e riducendo l'occupazione nel processo. «Inoltre - rimarca lo studio - i prezzi più elevati peserebbero anche sulla produzione interna attraverso multinazionali straniere (come Volkswagen o Bmw) con sede negli Stati Uniti».

I primi segnali delle possibili ricadute occupazionali sono peraltro già arrivati nei giorni scorsi, quando Daimler-Benz ha lanciato un profit warning legato alle stime di minori vendite dei Suv prodotti in Alabama. La causa sono le tariffe punitive introdotte dalla Cina sulle auto Usa. Il terreno su cui si muove l'inquilino della Casa Bianca è quindi instabile, in un momento in cui non solo le relazioni commerciali con Pechino e Bruxelles sono ai minimi storici, ma anche l'economia non è in forma smagliante. Nella lettura finale di ieri, la crescita del Pil nel primo trimestre è stata rivista al ribasso al 2% rispetto al 2,2% rilevato dalla precedente stima. La colpa va cercata nei consumi, il cui aumento (+0,9%) è il più basso dalla metà del 2013, e nel dinamismo inferiore alle attese delle esportazioni (+3,6% invece del +4,2% previsto in precedenza).

Se già il cavallo di battaglia dell'amministrazione Trump trotterellava in un periodo in cui la guerra dei dazi non era ancora esplosa, c'è da chiedersi quali saranno gli effetti sul made in Usa nella seconda parte dell'anno, quando la Fed potrebbe già aver alzato di quattro volte i tassi quest'anno, determinando un ulteriore rafforzamento del dollaro. Se la riforma fiscale non stimolerà la spesa privata, non è da escludere che The Donald debba fare i conti, nelle elezioni di mid-term in novembre, con il malcontento di chi l'ha votato. Il 2019 potrebbe portare scenari cupi. Oxford Economics calcola che dal solo settore auto può derivare una perdita dello 0,1% del Pil, ma c'è anche chi ipotizza una recessione globale se Trump non rinfodererà la spada del protezionismo. Un think-tank di Pechino, il National Institution for Finance and Development, teme il diffondersi del «panico finanziario», in uno scenario non dissimile da quanto avvenuto nell'estate del 2015, mentre la Bce rinnova nell'ultimo Bollettino l'allarme sui dazi, considerati «un rischio per le prospettive economiche mondiali».

Uno dei motivi per cui Mario Draghi si tiene le mani libere sul quantitative easing, destinato a non chiudersi in dicembre se, come ha detto il numero uno dell'Eurotower, «emergeranno imprevisti».

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