Cronaca locale

"La tenente che dà la caccia a uomini che odiano donne"

Ufficiale dell'Arma, si conquista la fiducia delle vittime E ha sgominato una banda di pericolosi rapinatori

"La tenente che dà la caccia a uomini che odiano donne"

«Non sono cresciuta con il desiderio di intraprendere proprio questo lavoro, di diventare cioè ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, ma di una cosa sono sempre stata certa: volevo impegnarmi in una professione dinamica, a contatto con gli altri e a difesa del benessere del cittadino, tant'è che già alle scuole medie avevo scritto in un tema che da grande avrei voluto diventare una poliziotta. Ho provato a fare altro, sì, avvicinandomi all'avvocatura che per chi studia giurisprudenza come ho fatto io è una sorta di sbocco naturale, ma non faceva per me. A 24 anni, in maniera molto consapevole e matura grazie all'esempio di mio padre, ufficiale dei Carabinieri, ho vinto il concorso e dopo due anni di scuola, prima a Velletri e poi a Firenze, sono diventata maresciallo. Quindi sono stata assegnata a Genova e ad Alassio. Sono stati anni meravigliosi. Infine ho avuto un incarico d'ufficio a Genova per altri 4 anni, ho vinto il concorso da ufficiale e ora comando il Nucleo operativo e la Radiomobile della compagnia di Vimercate».

Il tenente dei Carabinieri Federica Massa, torinese, 35 anni, unisce la dolcezza e la forza di chi ha fatto del proprio essere donna un'arma vincente a favore delle vittime di amori malati e troppo spesso impossibili da lasciare se non grazie a un aiuto esterno competente e concreto. Un paio di mesi fa, tanto per citare un caso, un'impiegata milanese di 20 anni, senza omettere i particolari più drammatici e scabrosi, ha trovato il coraggio di denunciare solo a lei - un'altra donna, ma anche ufficiale dell'Arma dei Carabinieri - il fidanzato ecuadoriano. Un extracomunitario con il doppio dei suoi anni, ora finito in carcere a Monza con l'accusa di violenza sessuale aggravata, sequestro di persona, minacce aggravate e violenza privata. Poco dopo, però, la tenente - che non si occupa solo di reati cosiddetti «di genere», insieme ai suoi collaboratori ha sgominato anche una pericolosa banda di rapinatori di bancomat, malviventi disposti a tutto.

Cosa le piace e la soddisfa maggiormente del suo incarico?

«Il mio ruolo è bellissimo e impagabile perché non credo ci sia gioia più grande che aiutare gli altri».

Ma lei crede veramente di poter dare concretamente una mano al prossimo?

«Nel mio piccolo sì. E inizio proprio dal mio piccolo: in primis c'è in gioco la responsabilità del mio personale che ogni giorno viene da me con piccoli e grandi problemi, piccole e grandi gioie private».

E il cittadino naturalmente.

«Da quando sono arrivata qui ho avuto una grande risposta soprattutto dalle donne che si sono avvicinate all'Arma dei Carabinieri, trovando il coraggio magari di denunciare situazioni di maltrattamenti, proprio perché sapevano che ad ascoltarle qui, alla compagnia, ci sarebbe stata una donna come loro».

Secondo la sua esperienza professionale, perché una donna dovrebbe continuare a farsi maltrattare nel 2018?

«Premesso che per la mia esperienza le donne hanno e continuano ad avere una grande forza di sopportazione proprio caratteriale, statisticamente molte di coloro che si rivolgono ai Carabinieri il più delle volte non lavorano e dipendono dal coniuge. La subordinazione economica, oltre a determinare il rapporto con l'esterno (la donna non chiede la separazione perché non saprebbe come tirare avanti) condiziona fortemente anche il legame di protezione di una madre nei confronti dei propri figli. Spessissimo una moglie non lascia il coniuge che, seppur violento, al contrario di lei, anche con uno stipendio modesto può però offrire a suo figlio un tetto sulla testa, tre pasti al giorno, mandarlo a scuola. Una madre è disposta a tutto per le proprie creature».

In più resta il capestro dei sentimenti o di quel che ne rimane in un rapporto sfilacciato dai maltrattamenti: sembra incredibile, ma le donne continuano a giustificare anche i compagni più violenti.

«La donna innamorata dice a se stessa mi ha chiesto scusa e non succederà più. Quando poi si accorge che non è così e che le cose non cambieranno mai, molto spesso è tardi. E così si arriva agli epiloghi drammatici che tutti ben conosciamo. Per questo, come la dottoressa Alessandra Kustermann del Servizio violenze sessuali e domestiche della clinica Mangiagalli di Milano, invito le donne vittime di soprusi a non avere paura. E a denunciare, sempre. Noi Carabinieri ci siamo».

Il primo concorso ufficiali per le donne nell'Arma è stato nel 2000. Come si trova in un ambiente militare?

«Bene! Questo è l'ambito in cui sono cresciuta e in cui sto vivendo che mi appartiene. Con le sue regole, la sua storia e il suo rigore, ma nel quale c'è anche molta fratellanza, ci si aiuta gli uni con gli altri. Da 11 anni ormai ho imparato a non cercare per forza il consenso di tutti. Ho un carattere forte e ho preso posizioni che hanno comportato rotture con alcune persone ma anche vicinanze con altre: è inevitabile che andasse così».

Le soddisfazioni più grandi?

«Naturalmente la risposta del cittadino. Non posso dimenticare, ad esempio, il sollievo, i ringraziamenti di quelle donne che riusciamo ad aiutare allontanandole dalla cdi asa famiglia e da un marito violento con un provvedimento di urgenza. Senza parlare delle vere e proprie dimostrazioni di affetto degli anziani truffati, quando possiamo soccorrerli e aiutarli concretamente. Poi, naturalmente, vedere mio padre felice di questo mio percorso professionale: lui, come ufficiale dei Carabinieri in pensione, è il mio primo fan. E chiaramente la risposta positiva ottenuta dalle persone con cui mi sono interfacciata, davvero un bel riscontro, dovuto al fatto che credo di aver quasi sempre capito le esigenze di chi lavora con me facendo in modo che si operasse in un clima di collaborazione».

Per fare il suo mestiere bisogna nascere con il senso del comando?

«Non necessariamente, ma lo si può maturare. Non tutti veniamo al mondo con il coraggio insito di dire, sempre, a ogni costo e fuori dai denti, quello che pensiamo, magari a un collaboratore. Per esperienza personale però posso affermare che ci si arriva».

Qual è la sua missione personale, dentro la missione che è il suo lavoro?

«Trovare il compagno giusto. Un uomo che mi capisca e creda in valori così forti che gli permettano, se ci venisse concessa l'opportunità di costruire una famiglia, anche di fare un passo indietro rispetto ai miei impegni professionali.

Non per questo, però, sentendosi meno amato».

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