Cronache

Il ministro della Cultura che umilia la lingua italiana

La lettura è inquietante per la sconvolgente improprietà del lessico, farcito di slogan, formule propagandistiche che mortificano la lingua italiana

Il ministro della Cultura che umilia la lingua italiana

Abbiamo finalmente le «linee programmatiche» per i Beni e le Attività culturali, presentate dal sobrio e solido ministro Bonisoli, probabilmente estraneo alla stesura del testo. Ma i suoi! La lettura è inquietante per la sconvolgente improprietà del lessico, farcito di slogan, formule propagandistiche che mortificano la lingua italiana e producono lo stridente effetto di maltrattare un bene culturale primario da parte di chi dovrebbe tutelarlo. Cosa dire di una originale definizione come: «Cultura per coltivare la nostra memoria storica e vivere il presente, costruendo ponti culturali»? Come si farà a costruire «ponti culturali»? Occorre una cultura «diffusa» (in noi o da noi?) per «riannodare i fili tra centro e periferia». E quando mai furono annodati e sciolti? E che cos'è un «tessuto sociale positivo»? Positivo! Concetti stralunati, velleitari; ma l'obiettivo è evidente: «Tutelare e valorizzare per generare conoscenza». Non sarebbe meglio conoscere, prima, per «tutelare e valorizzare»? I due verbi obsoleti non generano solo conoscenza ma, ascoltate bene, «nuove filiere economiche» (concetto impervio) e, soprattutto, «lavoro di qualità». Lavoro di qualità! Questi sono i «principi da cui partire». Ed ecco le «priorità»: il ministero «focalizzato», beninteso, «sia a livello centrale che periferico» (dovrebbe essere sia... sia...) deve risultare anche «più razionale». Singolare proposito rispetto a ministeri irrazionali; e, naturalmente, «efficiente ed efficace». Era ora! Poi bisogna approfondire come si possa «stimolare il consumo di beni e di attività culturali da parte delle nuove generazioni». Suggerisco che i beni sarebbe meglio non consumarli, ma conservarli.

Nasce poi un'attenzione nuova per le «realtà museali medio-piccole», non si sa come «rivedendo i coefficienti di ripartizione delle entrate dei grandi musei». Incomprensibile, ma seducente. E qui la proposta insperata e antinomica: «aumento delle risorse disponibili». Se sono disponibili perché aumentarle? O è forse frutto della «riforma e monitoraggio del finanziamento statale degli istituti culturali»? L'aria fritta è più consistente.

Passiamo alla «tutela». Formidabile la «mappatura dei beni culturali abbandonati e non utilizzati», accostata ai «beni culturali immateriali». E poi un'impresa difficile: «Monitoraggio della gestione dei siti Unesco». Sono 54, in fondo! Non è difficile. Ed eccoci alla «valorizzazione». Qui si dialoga direttamente con Dio. L'obiettivo è «superare le domeniche gratuite». Sì, superiamole! Come? Con «forme diverse di accesso agevolato». Si può far entrare uno di fianco, uno a testa in giù, uno rotolando con capriole, tenendo conto della «tipologia» di visitatore, anche acrobata. E sia chiaro: per «valorizzare» i beni culturali pubblici occorre la «definizione di criteri omogenei». Per lo «spettacolo dal vivo» bastano le originalissime «sinergie tra istituzioni», ma resta misterioso come «stabilizzare le necessità di supporto finanziario da parte dello Stato». Proprio così: «Stabilizzare le necessità». Linguaggio sgangherato, ma rassicurante. Nel comparto «audiovisivo» si entra in una falegnameria: si propone infatti la «costituzione di un tavolo». La finalità è «definire le strategie di sviluppo del settore audiovisivo nell'epoca della globalizzazione». Un'impresa impegnativa. Per la quale, naturalmente, è necessario un altro «monitoraggio» e, ovviamente, il «miglioramento dei criteri di assegnazione dei fondi per il cinema», anche per «incrementare le produzioni nelle regioni che hanno un basso utilizzo di tali risorse». Meschine! Povere quelle Regioni! Quali? Non è detto, per non mortificarle. Nel settore «normativa» colpisce la revisione del Codice dei beni culturali, non per una migliore tutela ma «per migliorare la capacità di prevenzione e il contrasto dell'illegalità». Facciamo questa revisione e vinceremo la criminalità! Mentre per la «diplomazia culturale», basta alla sola Matera, capitale della cultura 2019, un piccolo ritocco con il «gemellaggio con Plovdiv», celeberrima città, «per amplificare l'impatto dell'iniziativa a livello europeo». Auguri. Per la «fruizione» (parola sempre un po' sgradevole), è necessario «l'abbattimento delle barriere architettoniche». Ma sia chiaro: «Con specifico riguardo alle persone con disabilità e ai portatori di bisogni speciali, anche temporanei» (si intendono anche le perversioni sessuali e le droghe?). Sarebbe interessante capire come sia la «funzione interattiva dei musei». Interattiva di chi? O di quale parte del corpo? Infine: «la formazione». È ovviamente necessario il «lancio» di progetti «mirati» (mirati: terminologia più adatta al tiro a segno). Per questo le originali parole d'ordine sono: «Incentivare la formazione continua» (quel «continua» resterà indimenticabile); e «aggiornare i contenuti dei corsi di laurea per le professioni culturali, tra cui il restauro». Ecco: il «restauro», una disciplina recente, da «aggiornare». Appare urgente anche, dopo questa lettura, un restauro della lingua.

Buona fortuna.

Commenti