Cultura e Spettacoli

Quelli che... i premi letterari fanno schifo fino a quando non li vinco io

Sono gli scrittori che amano dirsi «contro» il sistema editoriale ad alimentarlo. Con i loro amici giusti sempre al posto giusto

Quelli che... i premi letterari fanno schifo fino a quando non li vinco io

Diciamola tutta: non è che dici che una festa ti fa schifo solo finché non ti invitano. Fuori di metafora è quello che è successo alla cosiddetta controcultura. In teoria era controcultura quella portata avanti da chi si opponeva alla cultura ufficiale, il problema è che gli stessi sono diventati la cultura ufficiale. Appena li hanno chiamati, la festa è diventata bella.

Nei primi anni del Duemila era tutta una controcultura. Erano controcultura i Wu Ming, che iniziarono subito a pubblicare best seller per Einaudi. Era controcultura il giovane Nicola Lagioia, che pubblicava per minimum fax e ne divenne l'editor, ma già al secondo libro passò a Einaudi e con il quarto, dieci anni dopo, vinse il Premio Strega e ora è un venerato direttore del Salone del libro di Torino. All'epoca eravamo grandi amici, ma io litigai con lui per questo motivo: io pubblicavo i miei romanzi e intanto attaccavo critici come Berardinelli, La Porta o Cortellessa, lui ci andava fuori a cena. Dopodiché iniziai a collaborare con Libero e poi con il Giornale, e divenni uno scrittore impresentabile (impresentabile anche a destra, a Bergamo fui contestato perché per un circolo di destra ero troppo di sinistra, e anche perché non è che alla destra sia molto interessata la cultura, l'ha sempre lasciata alla sinistra, lamentandosene).

Da quelle pagine, come oggi del resto, attaccavo coloro che si presentavano come controcultura, onnipresenti sul Corriere della Sera, La Repubblica, da Fabio Fazio, dalla Bignardi che invitava e venerava Saviano nella sua trasmissione più seguita, ovunque. Ma lo stronzo della cultura ufficiale ero io, che non presento libri, non frequento gruppi di nessun tipo, non vado ospite in televisione, e quando mi è stato proposto ho rifiutato di candidarmi al Premio Strega (come rifiuto qualsiasi invito in generale, quindi non salti fuori il solito che dice che «rosico»).

Intanto il premio Strega quest'anno lo ha vinto un'altra paladina della controcultura, Helena Janeczek, con un premio all'insegna del #metoo, che in realtà è la cultura del momento. Ma dobbiamo fingere sia controcultura, per carità. Mentre l'anno scorso lo vinse Paolo Cognetti, scoperto dal solito Lagioia a minimum fax. Tutti nati quindici anni fa all'insegna dell'antiberlusconismo, tutti editi da Berlusconi, tutti oggi con un posto al sole in quel circo Barnum che è la cultura italiana. Pardon, la controcultura italiana.

A proposito della Janeczek, è collaboratrice e autrice stimata di un sito corsaro di controcultura, Il primo amore, di Antonio Moresco e Carla Benedetti e Tiziano Scarpa e altri esponenti della controcultura. La Benedetti intanto scriveva su L'Espresso, e insieme a Moresco e Scarpa se ne andò da Nazione Indiana, perché stava diventando poco controculturale. Ma quando erano a Nazione Indiana mi invitarono in un convegno molto controculturale alla sala rossa del Salone del Libro di Torino: c'erano tutti con la targhetta del loro nome scritta sul tavolo, c'ero anche io, ma in una seggiolina al lato, non volevano confondersi con me. Per la cronaca unica mia partecipazione in vent'anni di libri pubblicati al Salone del Libro di Torino, mentre i succitati ci sono ogni anno.

A proposito di Antonio Moresco, non si contano i suoi scritti contro la cultura ufficiale, i giornalisti, i critici e la televisione. Tutto questo prima di essere invitato da Fabio Fazio, prima di essere interamente pubblicato da Mondadori e poi accettare di essere candidato al Premio Strega, salvo definirlo un «premio truccato» una volta escluso dalla cinquina. Era controcultura Roberto Saviano, prima di fare coppia fissa anche lui con Fabio Fazio, diventare la firma di punta del primo quotidiano italiano, trasformare la sua dichiarata lotta alla mafia in una serie tv di successo (ma che lotta alla mafia sarà un libro che diventa una serie? Ve lo immaginate Giovanni Falcone che scrive un best seller e lo vende a Netflix?).

Qualche anno fa, c'erano i TQ, ve li ricordate? Erano gli scrittori trentenni-quarantenni che volevano conquistare il potere. Ora hanno quasi cinquant'anni, saranno diventati QS. C'erano Lagioia (Lagioia non manca mai), Mario Desiati, Gilda Policastro che però è una poetessa sanguinettiana (e ha ferocemente attaccato la candidatura di Teresa Ciabatti allo Strega perché voleva essere candidata lei), e soprattutto Antonio Scurati, che si candidava allo Strega ogni anno con Bompiani senza riuscire a vincerlo, aveva una cattedra universitaria e stava sempre in televisione.

Nel 2005 era ferocemente contro tutti gli addetti ai lavori Tiziano Scarpa, e scriveva: «Non sono sicuro che si possa parlare di critici letterari per una parte delle persone che recensiscono romanzi sui giornali. Sono esperti di letteratura? Non mi sembra. Che cosa hanno dato alla letteratura italiana, alla saggistica, all'interpretazione dei classici? Nulla. Semplicemente scrivono sui giornali». Bellissima descrizione, peccato che si attagli a tutti i giurati che lo hanno premiato con il Premio Strega nel 2009.

A guardarli viene da pensare alle parole di Stupendo di Vasco Rossi: «E mi ricordo chi voleva/ Al potere la fantasia/ Erano giorni di grandi sogni sai/ eran vere anche le utopie.

Ma non ricordo se chi c'era/ Aveva queste facce qui/ Non mi dire che è proprio così/ Non mi dire che son quelli lì».

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