Cronache

I professionisti del furto in casa? Sono della criminalità georgiana

Le dinamiche organizzative della malavita straniera ricostruite nella relazione semestrale Dia sull'inchiesta che ha sgominato una "banda" a Chivasso, in provincia di Torino

I professionisti del furto in casa? Sono della criminalità georgiana

La criminalità georgiana in Italia s’è specializzata nei furti in appartamento. Non si tratta di gruppuscoli di sbandati, di cani sciolti. Come rivela la relazione della Direzione investigativa antimafia sulle attività d’inchiesta svolte nel periodo tra luglio e dicembre del 2017, i “ladri in legge” sono organizzati e “professionali”, agiscono in gruppi dove ognuno sa quale sia il suo ruolo e non lasciano nulla al caso.

A far luce sulle dinamiche di questi gruppi, come si legge all’interno della relazione, è stata un’importante indagine dei carabinieri che ha avuto come suo centro la città di Chivasso, in provincia di Torino. Nell’ambito di quell’inchiesta furono notificati, a settembre del 2017, due distinti provvedimenti restrittivi nei confronti di ventidue indagati, accusati di far parte di una gang capace di colpire in diverse zone del Paese. Grazie a tecniche raffinate, tra cui l’utilizzo della cosiddetta chiave bulgara, uno strumento che nelle mani “giuste” è in grado di forzare moltissime serrature in poco tempo.

Ancora più interessanti, dal punto di vista dell'analisi del fenomeno, sono state le scoperte relative al modus operandi e alle strategie organizzative. Tutti gli indagati, infatti, avrebbero avuto un ruolo specifico e finalizzato alla “crescita” dell’organizzazione. Ogni colpo veniva accuratamente preparato e studiato, con accurati sopralluoghi finalizzati a capire quando e dove entrare in azione. I membri

C’erano, poi, due canali differenti per gestire la refurtiva: i beni sarebbero stati portati in Georgia, il denaro liquido su cui riuscivano invece a mettere le mani, invece, sarebbe finito dritto in una sorta di cassa comune. Il fondo, oltre che a garantire le necessità dell'organizzazione, avrebbe consentito agli indagati di coprire anche spese legate all’assistenza dei detenuti legati al gruppo.

Uno strumento legato, dicono gli inquirenti, "a un principio solidaristico analogo a quello adottato dalle organizzazioni mafiose italiane".

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