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Stavolta sono i giudici Ue a stangare i pensionati italiani

La Corte di Strasburgo respinge il ricorso contro il decreto Poletti. Legittimo bloccare la rivalutazione degli assegni

Stavolta sono i giudici Ue a stangare i pensionati italiani

Anche i giudici di Strasburgo hanno stangato i pensionati italiani. La Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha infatti respinto, dichiarandolo inammissibile, il ricorso di 10.059 pensionati contro il decreto Poletti del 2015 sulla perequazione delle pensioni dal 2012. Nella loro decisione, che è definitiva, i magistrati ribadiscono che le misure prese dal governo (bonus rivalutazione limitato ai trattamenti non superiori a 6 volte il minimo, cioè a circa 3mila euro lordi) e dal legislatore non violano i diritti dei pensionati. Per il governo italiano si sancisce in maniera ultimativa un risparmio di circa 30 miliardi di euro annui.

In pratica, per la Corte di Strasburgo ha fatto fede la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso ottobre nella quale gli ermellini stabilivano che il decreto che rimborsava parzialmente i pensionati per le mancate rivalutazioni del biennio 2012-2013 realizzava «un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica». Di qui la sentenza di ieri nella quale si afferma che la riforma del meccanismo di perequazione delle pensioni è stata introdotta per «proteggere l'interesse generale». In particolare, si afferma che il decreto Poletti consente di assicurare una redistribuzione alle pensioni minime garantendo, allo stesso tempo, la tenuta del sistema sociale per le generazioni future».

Insomma, si riconosce lo stato di necessità della Repubblica che ha determinato il varo del decreto salva-Italia («un momento in cui la situazione economica italiana era particolarmente difficile») che, oltre alla riforma Fornero, aveva previsto un meccanismo immediato per fare cassa azzerando le rivalutazioni. Analogamente, la Cedu ha osservato che «gli effetti della riforma del meccanismo di perequazione sulle pensioni dei ricorrenti non son così penalizzanti da esporli a difficoltà di sussistenza incompatibili con quanto prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani». Il ricorso, perciò, è stato rigettato anche nella parte riguardante la fondatezza giacché l'avvocato dei pensionati aveva presentato il decreto Poletti come «misura sproporzionata» che avrebbe «violato il diritto alla proprietà».

Sebbene la Cedu sia un'istituzione autonoma, la sentenza ha però riconosciuto la preminenza di Bruxelles rispetto agli interessi nazionali nella parte in cui ha sottolineato che «il governo italiano aveva un ristretto spazio di manovra sia per le sue limitate risorse sia per il rischio che la Commissione europea potesse avviare una procedura di deficit eccessivo».

Quando la Consulta nel 2015 bocciò il blocco delle rivalutazioni facendo temere al governo Renzi un esborso di 30 miliardi di euro (contenuto nella relazione tecnica al dl), il primo atto dell'esecutivo europeo fu inserire nelle raccomandazioni di primavera l'invito a non sfondare i parametri di budget per soddisfare la sentenza. E, quando i pensionati ricorsero alla Corte Costituzionale l'anno scorso, nelle motivazioni del rigetto furono accolte le tesi dell'Avvocatura dello Stato che ricordava come «l'intervento del decreto limita l'entità dei rimborsi rispetto alla sentenza a una spesa pari allo 0,13% del Pil nel 2015 e allo 0,03% negli anni successivi» con un incidenza limitata sul deficit tendenziale.

Insomma, per i 6,5 milioni di pensionati (oltre ai 3,5 milioni parzialmente soddisfatti) che confidavano nella giustizia non c'è speranza.

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