Controcultura

Rachmaninov "d'acciaio" e le "vernici" di von Karajan. Ecco le note di Bortolotto

Gli scritti del grande critico raccontano mezzo secolo in sintonia con star e maestri quasi sconosciuti

Rachmaninov "d'acciaio" e le "vernici" di von Karajan. Ecco le note di Bortolotto

Prima ancora di essere Il viandante musicale - questo è il titolo del suo libro appena pubblicato da Adelphi (pagg. 517, euro 32), il musicologo Mario Bortolotto (1927-2017), considerato uno dei più grandi che l'Italia ha avuto, è stato un viandante dalla cultura universale. Le sue analisi, i suoi scritti, risultato di un sapere trasversale e profondissimo che dà le vertigini, hanno raccontato per oltre 50 anni gli accadimenti del mondo musicale storico e contemporaneo. Nei suoi «saggi e cronache disperse», oltre a tre focus sui giganti Chopin (romantico polacco), Bach (padre-maestro della polifonia) e Berio (rivoluzionario del Novecento italiano), si assiste alla sfilata di grandi compositori e interpreti dei più diversi tempi, ritratti appunto attraverso recensioni, interviste - come a Petrassi e a Kagel - e riflessioni. Immancabili «incontri» con le stelle, da Beethoven a Verdi, passando per Ciaikovskij a Schönberg, fino al minimalista Reich. E ancora Stravinskij, «il silenzioso» Cage, l'inglese Britten. Ecco una selezione di personaggi, opere, argomenti e concerti (a volte meno noti al grande pubblico) estratti dalla galleria dei lavori critico-letterari del sommo Bortolotto.

MARSCHNER, QUESTO (S)CONOSCIUTO... Nel capitolo «Hans Heiling», lo studioso racconta l'incontro con questa opera romantica del compositore Marschner (1795-1861), molto apprezzato e famoso in vita, anche se Clara Schumann, per via di qualche cedimento di gusto, parlò di «trivialità». L'incontro con questo lavoro avvenne al Teatro Lirico di Cagliari, dove il resista Pier Luigi Pizzi esce da star. L'autore a quel tempo divise non poco: a suo favore Brahms, indifferente Wagner.

LE MANI DI RACHMANINOV Qui si affronta anche il bel canto di Francesca da Rimini, titolo dato recentemente dalla Scala in versione Zandonai, in questo caso firmato dal russo Rachmaninov. Il musicologo si occupa della composizione «entrando» nella porta della Sagra musicale malatestiana. Il racconto del Rach, «fatto d'acciaio e d'oro», come ebbe a dire un altro pianista leggendario del Novecento, Joseph Hoffmann - «l'acciaio era nelle sue mani; l'oro nel suo cuore».

LA FOTO DI MALIPIERO (GIAN FRANCESCO) A giudicare dalle parole molto probabilmente Bortolotto da Venezia tifava parecchio per il maestro Gian Francesco Malipiero da Asolo, «compositore di fecondità mitica, da richiamare alla memoria gli adorati (da lui) musicisti del Sei e Settecento veneto, che componevano un concerto in mezz'ora». E ancora: «Quanto tempo occorreva a Malipiero per stendere una delle sue partiture non sarebbe facile da dire: certo pochissimo, stante l'età, novant'anni appena».

VARÈSE (UN PO') DIMENTICATO «Per Edgard Varèse si aggiunse all'incomprensione, la ignoranza delle (sue) opere. A tutt'oggi una parte ne resta ineseguita, almeno da noi; e non par tanto facile il colmare la lacuna. Se si dà un'occhiata alla letteratura critica, si resta senza meno costernati dalla incapacità ad intendere il significato di una musica che, invero, sfugge alle premesse del cromatismo».

UN MITO LOMBARDO DA RISCOPRIRE Secondo il musicologo «dobbiamo al compositore bresciano Camillo Togni alcune fra le più incantevoli musiche degli ultimi anni». Nato a Gussago, dove si è dedicato anche a «preziose ricerche di botanica, e botanica applicata, all'arte del giardinaggio, all'antiquariato (...), Togni ha studiato composizione e pianoforte con Alfredo Casella, imparando però a suonare davvero lo strumento con Cortot e Benedetti Michelangeli».

ORGANICI DA CAMERA Il maestro siciliano Francesco Pennisi componeva rifuggendo gli organici canonici, «quale il quartetto d'archi, e perlustrando accostamenti tentati di volta in volta», viene spiegato. Il suo lavoro quasi d'esordio, Quartetto in quattro parti, che rivelò una natura musicale d'eccezione in un Festival veneziano, nel 1966, comprende flauto (con ottavino), tromba, trombone, pianoforte-harmonium, percussione».

LA RIVOLUZIONE FIRMATA JOHN Nel capitolo «Quesiti da Pamplona» (località di un noto festival) lo studioso ricorda un'«assoluta evidenza» ovvero «che la musica di John Cage, anche nei suoi ultimi, più discutibili aspetti, segna un tracciato inesorabile. Una linea decisiva come uno spartiacque, ineschiavabile come la traiettoria di una freccia». E ancora: «la freccia di Cage, come negli antichi miti, è il segno, l'immagine dell'ordine».

I VIENNESI SECONDO I LASALLE Nella parte dedicata agli interpreti, Bortolotto inizia con i Lasalle, quartetto «costituitosi nel 1946 (...), considerato universalmente come un'autorità nel dominio della Nuova musica». Infatti non si dimenticano certo «le sue esecuzioni di Pousseur, Ligeti, Koenig, Kagel, Brown o Evangelisti, autori tutti che proprio da quegli interpreti ci sono stati chiariti per primi».

CELESTE KARAJAN, FORMA DIVINA «Non abbiamo mai risparmiato al protagonista Herbert von Karajan le nostre riserve. Il suo trattamento dei classici, da Haydn e Mozart a Wagner, tacendosi del Barocco, consiste, come è tristemente noto in un bagno forzato nell'oro fuso: sicché tutto, anche le violenze foniche beethoveniane, o le asperità nibelungiche, subisca quella ricolorazione coatta. Vernici brillantissime, come nei violentati quadri della National Gallery».

A PROPOSITO DI CRITICA... Il libro si chiude con un colloquio tra Ludovica Ripa di Meana e Mario Bortolotto, che così risponde alla domanda «ma un critico può vivere nella torre d'avorio?».

Risposta: «Il critico ideale non ha letto tutti i libri del mondo semplicemente perché, a un certo punto, il suo fiuto si è così affinato nel tempo da consentirgli di scartare in partenza molti libri di cui sa già con sicurezza che è proprio inutile la lettura».

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