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Così il fuoco di Prometeo crea e distrugge

Rubato da Prometeo a Zeus per donarlo agli uomini. Divenne strumento di dominio

Così il fuoco di Prometeo crea e distrugge

Una maledizione sembra pesare sulla Grecia. Dopo anni di coma economico, di povertà diffusa, di difficoltà a salvare la propria immagine in una Europa dimentica di quanto le deve sul piano della cultura e dello spirito, un incendio abnorme e distruttore come quello che si è sprigionato dai boschi di pini intorno ad Atene sta mietendo vittime innocenti e mettendo a serissimo rischio la stagione turistica, risorsa principale del Paese. Di fronte alle terribili immagini della distruzione, oltre a provare sgomento e pietà, mi interrogo sull'ambivalenza del fuoco, e su come proprio il mito greco ce la rappresenta: il mito, questo imprescindibile strumento di conoscenza delle origini che i Greci antichi ci hanno lasciato, insieme alla poesia, al teatro, alla filosofia, alla storiografia e alla democrazia, come grandiosa eredità. Il fuoco in origine apparteneva soltanto agli dèi. Era il fuoco del sole e quello dei fulmini, dimorava nel cielo, e da una parte scaldava gli uomini, dall'altro poteva colpirli, folgorarli e ridurli in cenere. Gli dèi lo amministravano con la loro saggezza. Ma un giorno il titano Prometeo decise di rubare il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini, e il fuoco celeste diventò terreno, strumento che poteva essere usato nei focolari per cuocere il cibo e nelle botteghe dei fabbri per forgiare aratri, martelli, scudi, lance. Fu un bene, certo. Ma l'entusiasmo di Marx, per cui Prometeo dovrebbe essere il primo santo del calendario comunista, risulta oggi datato e dubbio.

Una volta in possesso del fuoco, l'uomo non rispettò l'equilibrio delle cose, pensò di poter asservire e dominare la natura proprio attraverso l'energia che il fuoco sprigiona. Lo usò per la sopraffazione e per il dominio. La guerra di Troia finì nell'incendio che rase al suolo e cancellò la città conquistata con lo stratagemma del Cavallo. I malvagi ebbero a disposizione uno strumento di distruzione unico. L'imperatore Nerone poté incendiare Roma, incolpare i cristiani, appagare il suo distorto senso estetico guardando lo spettacolo delle fiamme in sé sempre in grado di attrarre con un fascino enigmatico gli occhi dell'uomo - e cantandolo con i suoi versi di discutibilissimo artista. In mano all'uomo, il fuoco produsse l'impero dell'acciaio e manifestò la sua forza distruttiva elevata all'ennesima potenza nelle bombe atomiche.

Quello che oggi devasta la Grecia, l'amata Grecia, quel suo paesaggio incantevole di pini che emanano un profumo simile a quel vino unico detto retzina, di ulivi, di lentischio, di farfalle, è un fuoco colpevole: se lo hanno appiccato come pare piromani o uomini manovrati da oscuri interessi nel campo della speculazione edilizia. E colpevole perché approfitta del vento e del caldo per incrementarsi, diventare invincibile nell'attaccare case, auto, uomini. Vediamo sui volti dei pompieri una sorta di rassegnazione. Autostrade invase da una nuvolaglia di fumo e cenere che sembra che voglia cancellarle. Il cielo, quel cielo greco di cui è difficile conoscerne uno più limpido e puro, è diventato una innaturale conca di uno sporco arancione, con lunghe striature di grigio sbiadito, quasi incolore. Le carcasse delle auto sono accatastate in un disordine mortale. Gli uomini sono fuggiti verso il mare. Una corsa terribile verso la salvezza, vediamo gli sguardi increduli, straziati di chi è ormai in salvo su un gommone. Ma anche verso la morte: perché l'elemento acqua, nemico per natura dell'elemento fuoco, è non meno di lui ambivalente, donatore di vita e distruttore. Sinora sono cinque gli annegati, quelli che hanno cercato di sottrarsi al fuoco nel suo elemento contrario senza riuscirvi.

Per lo Stoicismo, la scuola filosofica greca che trovò poi tanti seguaci a Roma, la fine del mondo sarebbe avvenuta attraverso l'ekpyrosis, un colossale incendio cosmico. Noi qui lontani e al sicuro non ci pensiamo: ma chi è dovuto fuggire inseguito dalle fiamme, dalle nuvole di cenere ed è corso verso il mare come verso l'ultimo rifugio possibile certamente ha pensato all'apocalisse: alla propria apocalisse personale, perduto tra gli elementi primordiali, il fuoco e l'acqua, con una terra che arde e un'aria che soffoca. Mi auguro che le vittime, già così numerose, non aumentino. Che il fuoco si plachi. Che ritorni a presentarsi agli occhi degli uomini come una forza amica. Ma siamo noi, alle volte, che non siamo amici di noi stessi, che asserviamo e manipoliamo la natura e persino la cellula, che crediamo di poter fare tutto quello che vogliamo senza rispetto per l'equilibrio del cosmo. Non dovremmo mai dimenticare il fuoco celeste delle origini, la bellezza del cielo.

Prometeo, con il suo furto e il suo dono del fuoco, non voleva certo che servisse per incendi assurdi, spaventosi come quello che mette in ginocchio oggi la sua terra.

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