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Il piano anti M5s: referendum popolare per salvare la Tav

La proposta del governatore dem Chiamparino piace a Cgil e centrodestra. E la Appendino tace

Il piano anti M5s: referendum popolare per salvare la Tav

Sì a lottizzazioni e sprechi, no alle grandi opere: i Cinque stelle di governo importano in Italia il modello Cuba, archiviato nell'arcipelago dei Caraibi, ridotto alla fame e alla povertà dalla dittatura comunista. Eppure, nonostante i disastri, le politiche «castriste» ispirano Danilo Toninelli e Luigi di Maio, i due ministri di punta del M5s. La ricetta grillina punta a creare più debito e meno crescita. È il sogno della decrescita felice di Beppe Grillo, che diventa realtà con l'arrivo dei pentastellati alla guida del Paese. Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Toninelli vuole bloccare i cantieri della Tav Torino-Lione, isolando l'Italia dal resto del mondo, ma in compenso manterrà in vita i «carrozzoni» delle società in house di trasporto pubblico locale.

Un piano che il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino prova a fermare, invocando un referendum tra le popolazioni interessante. Idea su cui Chiamparino chiede l'appoggio dei presidenti di Liguria e Lombardia, Giovanni Toti e Attilio Fontana. Dal centrodestra arrivano i sì al referendum di Giorgia Meloni (Fdi) e Osvaldo Napoli (Fi) mentre il sindaco di Torino Chiara Appendino resta in silenzio. D'accordo anche la Cgil. Per il ministro Toninelli la vera emergenza dell'Italia è il cantiere dell'alta velocità in Val di Susa, e non il miliardo di debito di Atac, la municipalizzata di Roma, il Comune guidato dalla grillina Virgina Raggi. Per il braccio destro di Di Maio l'Italia può fare a meno delle grandi opere ma non di Atac. In fondo, non importa se nella Capitale il sistema di mobilità locale è tra i peggiori in Europa, Atac non si tocca. La ragione è semplice: nel piano grillino di matrice comunista la municipalizzata serve a distribuire poltrone e incarichi. La mission è sistemare un po' di trombati. Il «parassitismo» che diventa modello di governo. D'altronde, appena sbarcato al ministero, Toninelli si è distinto per due atti: lo stop della Tav e la decisione di azzerare il Cda di Ferrovie dello Stato per accelerare la nomina dei nuovi vertici. Le sviluppo del Paese può attendere, le poltrone no.

Per il «castrista» Toninelli, spalleggiato dal titolare dello Sviluppo economico Di Maio, le società in house del trasporto locale non si toccano, nonostante siano sommerse di debiti. Roma, Livorno, Avellino: in tutte le città amministrate dal M5s le municipalizzate di trasporto locale sono «salve»: no ai treni veloci, si ai carrozzoni della prima Repubblica. Il ministro Toninelli ha fatto capire quale sia la linea della propria azione di governo: più costi per lo Stato, meno sviluppo e modernità. La Lega di Matteo Salvini per ora sbatte contro il muro grillino senza ottenere alcun risultato. E non importa se lo stop delle grandi opere, dalla Tav all'Ilva, costerà all'Italia tra i 50 e 60 miliardi di euro. Un costo che peserà in termini di competitività nel lungo periodo, facendo arretrare sempre di più il Paese rispetto alle altre Nazioni. E Toninelli non sembra arretrare di un millimetro sul blocco del cantiere Tav. «Lo stop alle grandi opere potrebbe costare agli italiani oltre 60 miliardi scrive su Twitter Mariastella Gelmini, capogruppo di Fi alla Camera dei deputati.

Mentre a inizio settimana, Toninelli sarà in audizione in Commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del Senato per illustrare al Parlamento la sua ricetta cubana.

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