Salute

Cancro al pancreas: estratti di cannabis allungano la vita

Una nuova ricerca ha mostrato come alcuni estratti di cannabis possano aumentare le aspettative di vita nei pazienti affetti da cancro al pancreas: il cannabidiolo è stato testato sui topi, assieme a un farmaco chemioterapico comune

Cancro al pancreas: estratti di cannabis allungano la vita

Un derivato della cannabis aumenta le aspettative di vita dei pazienti affetti da cancro al pancreas: è quanto emerge da una nuova ricerca britannica. Lo studio è stato testato sui topi e i ricercatori hanno potuto notare come la somministrazione di cannabidiolo (CBD), assieme a un farmaco chemioterapico comune, abbia esteso le aspettative di vita degli animali, con una longevità di tre volte maggiore del normale. Si ricorda, inoltre, che il CBD non sia la componente psicoattiva della cannabis. La scoperta è di estrema importanza se si considera che, secondo i dati relativi al Regno Unito, il cancro al pancreas colpisce una persona su 71 e solo il 20% vive un solo anno dopo la diagnosi. Inoltre, questa percentuale scende al 7% entro i cinque anni dalla scoperta. Il fatto che questo tipo di cancro venga diagnosticato tardi è legato al sopraggiungere dei sintomi, come perdita di peso e dolore addominale, solo quando si è già diffuso.

In merito alla nuova scoperta si è espresso il professor Marco Falasca della Queen Mary University di Londra, autore dello studio: "Abbiamo scoperto che i topi con cancro al pancreas sono sopravvissuti quasi tre volte di più se un componente della cannabis veniva aggiunto al trattamento di chemioterapia. Il cannabidiolo è già approvato per l'uso nelle cliniche, il che significa che possiamo rapidamente testarlo clinicamente sull'uomo. L'aspettativa di vita per i pazienti affetti da cancro al pancreas è a malapena cambiata negli ultimi 40 anni, perché ci sono pochissime cure disponibili, per lo più solo palliative". Altri esperti hanno voluto mettere un freno a questo entusiasmo, sottolineando come che il CBD funzioni sulla proteina GPR55, che si trova soltanto nel 30% circa dei tumori al pancreas. Esprime prudenza anche la professoressa Dorothy Bennett, dell'Università di Londra: "È necessaria cautela perché si tratta di uno studio sui topi.

Quindi la scoperta può rappresentare una prova preliminare per una vita più lunga, ma sarebbe auspicabile una maggiore conferma, forse in altri modelli di cancro al pancreas".

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