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Trump dice basta: "Il Russiagate va fermato"

Scuote Sessions, molla Manafort, si fa difendere da Giuliani. E ora spunta anche Friedman

Trump dice basta: "Il Russiagate va fermato"

New York Donald Trump ha detto stop. Basta con il Russiagate e la gogna mediatica nei confronti di collaboratori vecchi e nuovi come Paul Manafort, e basta con la caccia alle streghe. É questo il messaggio che il presidente americano ha inviato al ministro della Giustizia Usa. «Jeff Sessions dovrebbe fermare subito» tutto questo, scrive il tycoon su Twitter in merito alle indagini sui presunti legami tra il suo entourage e uomini di Mosca. «É una situazione terribile che va bloccata prima che diventi ancora di più una macchia per il nostro Paese», continua il Commander in Chief in una serie di messaggi, nel secondo giorno del processo all'ex presidente della sua campagna, Paul Manafort. Trump alza i toni dello scontro con il procuratore speciale del Russiagate, Robert Mueller, che a suo parere «è in conflitto totale»: «e i 17 democratici che stanno facendo il suo sporco lavoro sono una vergogna per gli Usa».

Il presidente ha ripetutamente definito l'indagine una «caccia alle streghe», ma la richiesta a Sessions di intervenire rappresenta un'ulteriore escalation. Alle accuse di ingerenza, a cui il suo legale Rudy Giuliani ha già risposto sottolineando che Trump non ha dato nessun ordine: ha detto che Sessions «dovrebbe, non deve», fermare l'inchiesta. Il ministro della Giustizia, tuttavia, l'anno scorso ha deciso di astenersi, assegnando la supervisione al suo vice Rod Rosenstein, ed è quindi improbabile che ora scelga di agire. Mentre su Manafort The Donald definisce le accuse «una bufala». «Ha lavorato per Ronald Reagan, Bob Dole e altri leader politici molto importanti e rispettati», afferma, anche se poi prende le distanze dicendo: «Manafort ha lavorato per me per un tempo molto breve, le vecchie accuse che gli vengono mosse non hanno nulla a che fare con la collusione».

Il processo ad Alexandria in Virginia, intanto, è entrato nel vivo, con le dichiarazioni dei primi testimoni. Manafort deve rispondere di frode bancaria ed evasione fiscale, che tuttavia risalgono a periodi precedenti il lavoro nel team elettorale dell'allora candidato repubblicano alla Casa Bianca. Nei suoi confronti c'e' anche un secondo processo che inizierà a settembre nel District of Columbia, dove è accusato di aver agito come agente straniero non registrato per l'Ucraina e di aver reso false dichiarazioni al governo Usa.

E secondo quanto scrive Jason Horowitz sul New York Times, tra chi ha contribuito a far finire Manafort dietro le sbarre ci sarebbe anche l'opinionista Alan Friedman, molto conosciuto in Italia. Friedman avrebbe lavorato a stretto contatto con lui nella creazione del cosiddetto Hapsburg Group, un gruppo di politici europei pagati attraverso conti esteri controllati da Manafort a partire dal 2011, per fare pressione sui colleghi americani per sostenere l'allora leader dell'Ucraina (vicino a Putin), Viktor F. Yanukovych.

Friedman e Manafort però non si sarebbero registrati come lobbisti, in potenziale violazione delle leggi Usa.

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