Controcultura

Connie, Laide, Anna e le altre. Ecco l'harem del lettore

Possiamo averle tutte senza pericolo che ci mollino. E che piacere tradirle senza per questo dimenticarle...

Keira Knightley in Anna Karenina
Keira Knightley in Anna Karenina

Fra i molti pregi dei grandi romanzi, c'è anche questo: se leggendoli t'innamori di una donna, puoi star certo che la tua storia con lei non finirà mai. Inoltre hai anche il privilegio di tradire senza essere ricambiato, cosa notoriamente graditissima agli uomini. Il lettore, insomma, è sempre su piazza, ha campo libero come un bagnino a Rimini, come un maestro di sci a Saint Moritz, come un idraulico in città a Ferragosto.

O come un guardacaccia tipo l'Oliver Mellors con la sua Connie alias Lady Chatterley, laggiù a Wragby Hall. Lei non perde un briciolo della sua classe nemmeno quando ti sussurra cose del tipo: «Vuoi che ti dica cosa possiedi che gli altri non hanno, e che ci garantirà un futuro possibile?... È il coraggio della tua tenerezza, ecco cos'è: come quando accarezzi il mio fondo schiena e mi dici che ho un bel culo». Questo sì che si chiama intuito femminile: andare oltre le convenzioni sociali e bla bla bla...

Oppure come Antonio Dorigo. Architetto, milanese, cinquantenne, sembra il ritratto del vincente. Eppure, dal mazzo della signora Ermelina pesca il jolly che lo fa perdere. «Nella degradazione degli animi e delle cose, fra suoni e luci equivoci, all'ombra tetra dei condomini, fra le muraglie di cemento e di gesso, nella frenetica desolazione, una specie di fiore». Quanto è fatua, capricciosa, scostante, viziata, quella Laide. Una puttanella fatta e finita. Eppure, in fondo in fondo, Un amore per lei è l'epìtome di tutti gli amori, mercenari o gratuiti.

A proposito del farsi mettere i piedi in testa dall'amore, sentite quel vecchio pazzo di Tanizaki a proposito dei Piedi di Fumiko: «Immaginavo la felicità che avrei provato se avessi potuto trasformarmi nei suoi bei talloni, più che vivere come uomo. Oppure, sarei stato felicissimo anche solo di diventare il tatami che lei calpestava». Suggestioni d'Oriente, feticismo decadente.

Per restituire all'uomo-lettore l'orgoglio smarrito, niente di meglio che una tormentata signora russa: «Ella non l'incoraggiava; ma nel suo spirito, ogni volta che lo vedeva, divampava quello stesso senso di animazione che l'aveva invasa fin dal primo giorno in cui l'aveva incontrato in treno; ed essa stessa si rendeva conto di come, appena lo scorgeva, la gioia le si accendesse negli occhi e affiorasse nel suo sorriso, senza tuttavia essere in grado di smorzare l'espressione di quella gioia». Per quante ore, per quanti minuti noi comuni mortali possiamo dire di essere stati dei Vronskij, negli occhi pieni di gioia di una donna?

Meglio non pensarci. Piuttosto, qualora incontrassimo nella realtà, magari in una località di Montagna incantata, una tipa «debole, bacata, dagli occhi da Kirghisa» che di nome fa Clawdia e di cognome Chauchat, occhio alla penna, anzi alla matita. Se il pensiero corresse a un vecchio compagno di classe vorrebbe dire che siamo gay.

Ma chi se ne frega, tanto è un romanzo.

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