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I genitori di Melania americani per la legge che Trump non vuole

Hanno ottenuto la cittadinanza sfruttando la norma che favorisce i ricongiungimenti

I genitori di Melania americani per la legge che Trump non vuole

New York Da oggi gli Stati Uniti hanno due cittadini in più. Non due qualsiasi, bensì Viktor e Amalija Knavs, i suoceri del presidente Donald Trump, i quali hanno ottenuto la nazionalità a stelle e strisce grazie a quella legge sull'immigrazione che il genero vuole a tutti i costi stracciare. C'è da dire che nessun trattamento di favore è stato riservato ai parenti acquisiti all'inquilino della Casa Bianca, come ha confermato il loro legale: i genitori della first lady Melania, fa sapere il New York Times, hanno beneficiato della «chain migration», letteralmente catena migratoria, ossia i ricongiungimenti familiari.

In base alle regole attuali un immigrato che risiede legalmente in America può infatti sponsorizzare l'ingresso nel Paese di membri della sua famiglia. Norme che Trump da mesi vuole abolire: «deve finire ora - aveva scritto su Twitter nel novembre scorso -, alcune persone arrivano e portano con sé l'intera famiglia, è un sistema inaccettabile». I Knavs hanno prestato giuramento giovedì a New York con una rapida cerimonia privata presso un ufficio federale di Manhattan: originari della Slovenia, dove Melania è cresciuta, sono negli Usa da una decina di anni.

La first lady ha sponsorizzato il loro permesso di residenza permanente, e «una volta ricevuta la carta verde, hanno chiesto la cittadinanza non appena ne hanno avuto la possibilità», ha spiegato l'avvocato Michael Wildes. Un percorso, ha precisato, che «non è diverso da quello di chiunque altro». In Slovenia Viktor era un venditore di auto, mentre Amalija lavorava in una fabbrica di tessuti. Melania si è trasferita a New York nel 1996, ha incontrato Trump due anni dopo e i due si sono sposati nel 2005. I genitori di lei viaggiano spesso con la coppia presidenziale trascorrendo il loro tempo tra Palm Beach, New York e Washington.

Intanto, nella capitale, un giudice federale ha fermato una deportazione in corso giovedì minacciando il ministro della Giustizia Jeff Sessions di oltraggio alla corte, dopo aver appreso che l'amministrazione Usa stava per rimandare nel suo paese una donna e la figlia mentre il loro caso era ancora in corso. «È oltraggioso», ha affermato il giudice distrettuale Emmet G. Sullivan: «Una persona che cerca giustizia in tribunale viene portata via mentre i suoi avvocati stanno discutendo per lei? Non è accettabile». La donna, conosciuta solo come Carmen, è attore in una causa presentata questa settimana dall'American Civil Liberties Union.

Nelle carte si mette in discussione la nuova politica del dipartimento di Giustizia che esclude come giustificazione della richiesta di asilo la violenza domestica e di gruppo. Mentre la causa era in corso di discussione, tuttavia, Carmen e la figlia sono state portate in un centro di detenzione in Texas e da lì imbarcate su un volo per El Salvador. Dopo l'ordine del giudice, come ha confermato un funzionario del dipartimento di Sicurezza Interna, le due «sono state immediatamente rimandate negli Stati Uniti». La donna è fuggita dal suo paese con la bimba a giugno, temendo di essere uccisa dai membri della gang che le avevano chiesto un «pizzo» mensile, minacciandola che in caso contrario ci sarebbero state serie conseguenze.

Sessions, quando è passata la modifica, ha spiegato da parte sua come «il semplice fatto che una nazione abbia problemi nel controllare determinati reati come la violenza domestica o delle bande non può di per sé determinare il diritto di asilo».

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