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Il bluff dell'Iva flessibile non cambia lo scenario: manovra 2019 in deficit

Alzare le aliquote per alcuni prodotti non potrà finanziare le clausole di salvaguardia

Il bluff dell'Iva flessibile non cambia lo scenario: manovra 2019 in deficit

Spostare, valutare, modificare, innovare. Il governo ha usato molte formule per indicare la strategia di avvicinamento alla prossima legge di Bilancio ma, guardando attentamente al balletto delle dichiarazioni, la sensazione è che tutto sia destinato grosso modo a rimanere com'è. Anche l'intervento sull'Iva per disinnescare le clausole di salvaguardia, infatti, si annuncia come un'operazione sostanzialmente in deficit perché anche l'annunciata «flessibilità» delle aliquote non si dovrebbe tradurre in altro che in una variazione della tassazione di beni e servizi.

Da quello che ha lasciato intendere il ministero dell'Economia, infatti, l'intenzione è di modificare il regime a cui sono sottoposti alcuni prodotti. Ora è difficile ipotizzare che, ad esempio, agrumi e basilico fresco possano passare dal 4 al 22% di imposta, ma nel largo campo dell'aliquota ridotta al 10% ci sono alcune voci sulle quali il Tesoro potrebbe intervenire: abbonamenti alle pay tv ai campeggi fino alle attrezzature sportive, le opere d'arte e gli spettacoli teatrali giusto per citare alcune categorie sicuramente non ascrivibili ai generi di prima necessità. L'idea è questa, ma tanto il vicepremier Di Maio quanto l'omologo Salvini hanno sempre garantito l'invarianza del gettito.

Il ministero, al momento non è in grado di formulare previsioni per la difficoltà di stimare l'effetto regressivo sulle vendite al dettaglio di un incremento. E dunque per trovare le risorse necessarie a evitare aumenti dell'imposta sul valore aggiunto bisognerà chiedere a Bruxelles considerato che l'importo della manovra, attualmente oscillante tra 25 e 30 miliardi di euro, dovrà essere necessariamente coperto mediante ricorso alla flessibilità di bilancio. «La Commissione valuterà dopo l'invio formale della documentazione a ottobre», ha fatto sapere l'entourage di Jean-Claude Juncker. Servirà comunque uno 0,5-0,6% di maggior deficit Pil (cioè una decina di miliardi di euro) per coprire le spese programmate che comprendono, oltre all'Iva, il dossier pensioni (4 miliardi per la reintroduzione del pensionamento di anzianità), le spese indifferibili (3,5 miliardi), gli aumenti contrattuali (2 miliardi), l'avvio del reddito di dignità (almeno un paio di miliardi), la maggiore spesa per interessi (2 miliardi), l'aumento della dotazione del Fondo sanitario nazionale e la riforma fiscale.

Per quest'ultima resta in piedi l'ipotesi di azzeramento degli 80 euro in favore di una rimodulazione delle aliquote Irpef a tre scaglioni. I 10 miliardi di euro del bonus renziano sarebbero spalmati su più fasce con massimo sollievo per i percettori di redditi compresi tra 28mila e 75mila euro lordi confermando il 43% al di sopra di quella soglia. Matteo Salvini ha anche promesso l'introduzione del quoziente famigliare a fronte di un sistema attuale che azzera le detrazioni per i figli a carico all'aumentare del reddito.

Insomma, il programma così messo è molto costoso. Anche per questo ieri in un'intervista a ItaliaOggi il viceministro leghista dell'Economia, Massimo Garavaglia, ha ipotizzato l'introduzione di una sorta di web tax per le società come Amazon che forniranno online i servizi di fatturazione elettronica che sarà obbligatoria tra privati dall'anno prossimo. Un'imposta che tassa le tasse: l'e-fattura, infatti, serve a evitare l'evasione Iva comunicando in tempo reale gli attori di una transazione e il suo importo. A tutto questo si accompagna l'annoso dibattito sulla spending review che può esser un'ottima fonte di finanziamento ma quei 54 miliardi, se rimodulati, rischiano di non sortire un effetto positivo perché per i percettori si trasformerebbero in un aumento della tassazione.

Il governo del cambiamento rischia così di non cambiare nulla.

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