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Che fine ha fatto Conte, il più grande degli assenti?

Una Premier e una FA cup non gli hanno evitato l'ennesimo addio da lite condominiale

Che fine ha fatto Conte,  il più  grande degli assenti?

Che fine ha fatto Antonio Conte? Non se ne parla e già questa è una notizia. Strana, come è strana la vicenda di questo allenatore che ha vinto, in Italia e in Inghilterra, lasciando traccia forte e passionale tra i tifosi. Un po' meno nei club e nello spogliatoio da lui frequentati. Perché il silenzio attorno a Conte, in parte, è giustificato e comprensibile. Perché lo stesso salentino ha un carattere fatto di molti, troppi spigoli contro i quali vanno a urtare quelli che con lui lavorano. Era accaduto a Bergamo, si è ripetuto a Torino, nonostante tre eroici scudetti, è stato ribadito in nazionale, è esploso a Londra, là dove una Premier e una FA cup vinte non sono bastate per continuare il lavoro.

Conte è fatto così, figlio della terra sua, sole, mare e vento, passa dall'entusiasmo alla depressione, vede ombre dovunque, si agita, si rannicchia in un isolamento che ne esalta la filosofia maniacale del lavoro ma lo porta a scontri dialettici, e non soltanto, con chi la pensi diversamente. Si ritiene, secondo la lezione appresa dai suoi docenti, Sacchi&Lippi, il depositario della scienza del football. Per restare in linea con tale docenza, ha avuto il coraggio, direi l'ignoranza, di definire la Juventus di Capello memorabile soltanto per Calciopoli.

La sua applicazione porta a esasperare concetti che, invece, andrebbero illustrati e poi sviluppati in un clima meno carico. L'esempio ultimo, del brasiliano Willian che ha ammesso «Se fosse rimasto lui me ne sarei andato io», così come la pessima, controproducente e capricciosa gestione (licenziamento tramite messaggio telefonico) di Diego Costa, protagonista indiscutibile del titolo vinto in Inghilterra, così come della supercoppa conquistata dall'Atletico Madrid, sono la conferma dei limiti caratteriali di questo ottimo professionista italiano.

Conte riesce ad esaltare il popolo dei tifosi, dovunque, a Bari, a Torino, a Londra, in azzurro ma, in contemporanea, entra in conflitto con i dirigenti e una parte della squadra. C'è stato un grande calciatore alle sue dipendenze che mi ha confessato: «Non riesco a prendere l'appuntamento con il dentista perché ogni giorno Conte cambia gli orari degli allenamenti e non li comunica in tempo utile». Ovviamente l'orario flessibile si spiegava con il fatto che l'allenatore non desiderasse e non desideri che i calciatori programmino la loro giornata, tra sponsor, visite private e altre amenità, dimenticando i doveri.

Conte ha dovuto accettare e ingoiare, si fa per dire, i quattro titoli consecutivi ottenuti dal suo erede alla Juventus e le due finali di Champions, torneo nel quale aveva detto di non poter partecipare allo stesso livello delle altre concorrenti perché «con dieci euro non si mangia in un ristorante da cento euro». A ricontrollare il portafoglio juventino dell'epoca non si può dire che Pirlo, Vidal, Pogba, Llorente, Tevez fossero da osteria in un gruppo che già contava Buffon, Bonucci, Chiellini, Marchisio. Ma anche quelle parole fanno parte del personaggio e delle sue fisime. E' un peccato che la sua carriera inglese abbia avuto un epilogo da lite condominiale.

Resta il passato che è comunque forte ma che, nel football, ormai non serve a nulla soprattutto se si procede a capricci e sospetti.

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