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Il «tappo» del codice appalti: blocca pure le manutenzioni

La riforma è rimasta a metà, le procedure sono lente e farraginose. La denuncia di Ance: 21 miliardi al palo

S e le società che gestiscono le autostrade sono state avare in investimenti e nella messa in sicurezza delle strutture che gli sono state affidate, lo Stato non è più virtuoso con le infrastrutture che amministra direttamente. Ad esempio scuole, acquedotti, dighe e ferrovia. Amministrazione centrale, comuni e regione già da un po' stanno tirando il freno sugli investimenti pubblici, come dimostra l'andamento della spesa in conto capitale dello Stato che è diminuita del 43% in soli sette anni, dal 2008 al 20015. È stata in sostanza tagliata la spesa pubblica buona per fare aumentare quella corrente, cresciuta nello stesso periodo di quasi 12 punti percentuali. A rimetterci è la crescita del Paese, ma anche la sicurezza degli edifici pubblici.

È di pochi giorni fa la denuncia dell'Ance, l'associazione dei costruttori, su quanto il freno della burocrazia stia costando al Paese. Ci sono 21 miliardi di euro di opere bloccate, i casi segnalati sono 270 su tutto il territorio nazionale e 330 mila posti di lavoro in meno, secondo i dati di Sbloccacantieri.it. Il 30% dei lavori bloccati riguardano opere di manutenzione e messa in sicurezza di edifici scolastici. Seguono le opere di gestione delle acque con il 29% delle segnalazioni concentrate principalmente nel Mezzogiorno.

Gli interventi sulle strade bloccate sono il 15%. Ne fanno le spese la messa in sicurezza, manutenzione e realizzazione di strade statali, provinciali e comunali.

Le conseguenze «sono sotto gli occhi di tutti. Per citarne una per tutte, la mancata manutenzione del territorio e del patrimonio infrastrutturale ha amplificato le conseguenze provocate dai disastri naturali: un miliardo di euro all'anno il costo dei danni generati da frane e alluvioni. Nonostante le emergenze e la necessità di aprire cantieri di messa in sicurezza e manutenzione su tutto il territorio nazionale, le procedure per la spesa delle risorse sono ancora troppo lente e farraginose con il risultato che i cantieri o non si aprono o si aprono troppo tardi», ha denunciato il presidente dell'Ance Gabriele Buia in un intervento sul sito Formiche.net.

Difficile che la soluzione ai problemi arrivi attraverso una legge. In Italia di solito succede il contrario. Ad esempio che la riforma del codice degli appalti, presentata nel 2017 come una misura per sbloccare, semplificare e garantire la pulizia dei lavori pubblici, si sia trasformato in un altro tappo che rende difficile se non impossibile avviare opere o anche per fare semplice manutenzione.

Il nuovo codice voluto dal governo Renzi è rimasto a metà strada. Mancano 60 decreti attuativi. La poca chiarezza «ha costituito un freno all'attività, anche ordinaria, dei pubblici amministratori, preoccupati di assumere scelte sbagliate, fonte di possibile responsabilità erariale. Troppe volte, infatti, si è assistito a un blocco delle decisioni della Pa (autosospensione) che ha preferito fuggire dalle proprie responsabilità». In sostanza i dirigenti pubblici preferiscono non decidere. Un atteggiamento già ben presente nella pubblica amministrazione italiana. È di pochi giorni fa la notizia che la sindaca di Roma Virginia Raggi vorrebbe incentivare economicamente i dirigenti della sua amministrazione che non bloccano lavori pubblici.

Il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli e il premier Giuseppe Conte hanno annunciato interventi per modificare il codice in autunno, dopo una consultazione con le associazioni.

Forza Italia è stata da sempre contraria al nuovo codice e in occasione della tragedia di Genova tramite Deborah Bergamini, vicepresidente della Commissione Trasporti della Camera, ha chiesto «un piano infrastrutturale» e modifiche «a un codice degli appalti farraginoso, complicato e moralistico».

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