Politica

Quando il ponte della morte sul Polcevera finiva sulle cartoline da spedire agli amici

L'opera compare in un libro che racconta l'epopea dei «fotocolor» anni '60-'70

di Andrea Cuomo

T anti cari saluti dal ponte della morte.

C'era un tempo in cui il viadotto sul Polcevera, il ponte Morandi venuto giù alla vigilia di Ferragosto con gli ultimi pezzi della carità di Patria, era un oggetto da sbigottirsi, da vantarsi di vederlo e passarci su. Come fosse una chiesa barocca, una fontana gorgheggiante, un panorama mozzarespiro.

Era il tempo in cui non avevamo paura di essere arditi, di essere moderni. Era il tempo in cui il ponte di Brooklyn al pesto finiva sulle cartoline che spedivamo agli amici e ai parenti per far vedere che avevamo uso di mondo. Avevano le tinte ritoccate dal colorista di tipografie senza gloria, santini di periferia che all'epoca non finivano magnetizzati sui frigoriferi ma dentro i cassetti a costruire un bizzarro composé di luoghi mai visti, un poema di frasi roboanti e saluti burocraticamente affettuosi.

La cartolina che vedete qui a fianco l'abbiamo tratta dal libro In un'altra parte della città (edizioni Isbn) una divertente scorribanda nell'epoca d'oro delle cartoline scritta nel 2014 da Paolo Caredda (la prefazione è affidata a Ugo Gregoretti). Un libro che ci aveva deliziato quando lo leggemmo, perché presentava un catalogo di cartoline buffe, bizzarre, impresentabili, eppure stampate, commercializzate, acquistate e spedite. E perché raccontava anche come questi involontari capolavori di provincia nascevano secondo logiche imprenditoriali da retrobottega.

Ricordavamo quel ponte spigoloso trasformato in souvenir affrancabile e spedibile. E così abbiamo ripreso in mano quel libro e lo abbiamo trovato. Il retro recita: «Genova - Il viadotto sul Polcevera». La cartolina è la numero 5238 prodotta dalla ditta F.lli Pagano con sede proprio a Genova, in via Monticelli 11, tratta da un fotocolor Kodak Ektachrome. Quell'immagine, nelle intenzioni di chi l'ha scattata probabilmente affittando a ore un piccolo aereo turistico per fare un po' di panorami aerei, doveva glorificare le magnifiche sorti e progressive liguri e italiche, celebrando l'epoca in cui un ponte come quello serviva a scavalcare non solo un torrente e una ferrovia ma tutte le nostre arretratezze, i nostri timori di essere un Paese evoluto, occidentale, progressista.

Il futuro ci apparteneva. Oggi non più e quello che pure ci rimane cade a pezzi ammazzandoci. E chi non muore sepolto, muore di tedio e di mestizia.

Sfogliando quel libro ci ha incuriosito un'altra cartolina genovese: rappresenta il complesso edilizio Forte Queri, costruito qualche anno dopo, nei primi Settanta. Un delirio tra architettura e utopia, un lungo palazzo a nastro srotolato sulle colline di Marassi, soprannominato dai genovesi il «biscione». Per collocarlo nel panorama genovese siamo andati a cercarlo sul satellite di Google Maps e così facendo abbiamo scoperto che il Ponte Morandi, lì, dove la cronaca si fa topografia, è ancora in piedi.

Non solo il passato sa essere distopico, ma a volte anche il presente.

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