Cultura e Spettacoli

"Che eroi i pompieri. Mi piace stare con loro più che con gli attori"

L'interprete di "Fire Squad", sui vigili del fuoco che si sacrificarono per domare un incendio

"Che eroi i pompieri. Mi piace stare con loro più che con gli attori"

Ci sono i vigili del fuoco e ci sono gli «Hotshot», pompieri altamente specializzati nella gestione degli incendi boschivi che non spengono il fuoco con l'acqua ma ne tagliano le fonti di alimentazione, con l'uso sapiente delle stesse fiamme, di motoseghe e di precisi calcoli sulla direzione del vento e della situazione meteorologica. Operano sempre in condizioni estreme e talvolta perdono la loro battaglia contro gli elementi della natura, come è accaduto nel 2013, quando un devastante incendio colpì l'area di Yarnell Hill, in Arizona, distruggendo tutto quello che trovò sul suo percorso. Purtroppo su quel percorso si trovarono anche i 19 membri dei Granite Mountain Hotshots, che persero la vita nel tentativo di domare le fiamme. Ora quella tragica vicenda arriva sul grande schermo con Fire Squad Incubo di Fuoco, film diretto da Joseph Kosinski, in sala dal 22 agosto, con un cast a dir poco stellare. Dalla star di Whiplash, Miles Teller, agli attori premio Oscar Jeff Bridges e Jennifer Connelly, a Josh Brolin, che torna sul grande schermo dopo i successi di Avengers: Infinity Wars, Deadpool 2, e Soldado, il film americano del nostro Stefano Sollima che arriverà in Italia a ottobre.

Brolin interpreta Eric Super Marsh, caposquadra di quel team che diventò una delle più importanti unità d'élite degli Stati Uniti. E chi se non lui, che la divisa da vigile del fuoco l'ha indossata per davvero? «Avevo sentito questa storia quando è accaduta, perché sono cresciuto in una comunità di pompieri racconta Brolin Sono stato uno di loro, ho fatto il volontario tra i 21 e i 24 anni a Mescal, in Arizona. Al tempo non lavoravo ancora molto come attore. Col passare degli anni comunque ho imparato che mi piace molto di più trascorrere il tempo coi pompieri che con gli attori».

Interpretare Marsh ha dunque un significato particolare per lei?

«Eccome. È stata un'esperienza molto forte, ma non lo è stato solo per me che ho un debole per la divisa dei pompieri. Metterci nei panni di questi eroi, rendere loro giustizia è stato per tutti noi del cast molto importante. Il che non vuol dire nemmeno lontanamente pensare di essere come loro, dei superuomini senza paura».

Sono proprio questo? Uomini senza paura?

«Certo sono consapevoli che qualcosa possa accadere ma il timore di non farcela non dimora nei loro animi. I pompieri non mettono a fuoco il pericolo perché sono troppo concentrati su come far cessare quella situazione sfavorevole. Loro non lo fanno. Sono persone realistiche e pragmatiche, i dubbi non fanno parte del loro modo di pensare. Semplicemente non se lo possono permettere».

Una bella responsabilità raccontare vite del genere.

«Sì, lo è, così abbiamo cercato di rendere al massimo delle nostre possibilità per onorare nel migliore dei modi la memoria di questi ragazzi».

Rendere al massimo per lei è significato anche perdere 20 chili di peso.

«Forse ne ho persi anche di più. Avevo appena dovuto metterne su 22 per A caccia con papà, pesavo circa 110kg quando è arrivata questa parte. Pensavo di non farcela, conosco bene i vigili del fuoco, so che tipo di forma fisica debbano avere e so bene cosa voglia dire dover girare in una zona torrida come quella di Santa Fe, nel Nuovo Messico. Una cosa è essere in ottima forma in palestra, su un tapis roulant, un'altra è dover scalare una montagna con uno zaino di 20 chili in spalla e una motosega da 11kg in mano. È stata una grande sfida, ma ce l'ho fatta».

E il fuoco? Era vero o frutto di effetti speciali?

«Molto era fuoco vero. Non siamo mai stati in pericolo ma era fuoco ed era massiccio. Quando fai un film del genere e racconti una storia realmente accaduta devi rappresentare la realtà nella maniera più verosimile possibile».

Anche il caldo torrido era vero.

«Abbiamo girato in estate, in New Mexico, con temperature oltre i 40 gradi.

Credo che anche quella sofferenza fisica, quelle scalate con la motosega in mano, ci abbia aiutato a legare e a rappresentare al meglio quel gruppo di eroi».

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