Sgarbi quotidiani

Che cosa ci mancherà di Ceronetti

Che cosa ci mancherà di Ceronetti

La morte di Guido Ceronetti è la fine di una civiltà letteraria che aveva costituito la linea di resistenza contro un mondo degradato e prepotente, dominato dall'urgenza e dall'isteria. Tutto e subito, e senza merito, con la mancanza di pensiero e di riflessione delle anime morte. Carmelo Bene li chiamava «depensanti» e rappresentava con ciò l'atteggiamento di un'umanità degradata e priva di un pensiero libero e distinto.

Tra le ultime amarezze vi è certamente la fine della lingua italiana, la morte della poesia, la dittatura delle minoranze, concentrate nella vittoria burocratica di un linguaggio perverso, fatto di «attimini», «sinergie», «sviluppo sostenibile», «indagini conoscitive», «modelli identitari», «fruizioni», «location»: vere e proprie torture cui è sottoposta la bella parlata italiana, così varia e così ricca. E infine, doloroso fino al pianto: genitore 1 e genitore 2, invece di Padre e Madre.

A questo degrado (letteralmente) ambientale Ceronetti rispose riparandosi dietro un nichilismo prudente e dolente, quindi commovente e struggente, che era il punto d'arrivo del pensiero di Pier Paolo Pasolini, così lontano da lui e pure così affine da capire la bellezza compiuta di una strada sterrata, in una campagna remota; di un lume di candela in una locanda con le tazze per il vino; e di un tempo lento che ci lasciasse lo spazio per capire il non senso della nostra vita, così piena di sorprese stupefacenti come l'esistenza delle lucciole, in una continua persistenza del «fanciullino» che è dentro di noi.

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