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Nella Bibbia tradotta da eretico torna il Dio di carne e sangue

Dai "Salmi" a "Isaia" all'"Ecclesiaste", decenni di versioni

Nella Bibbia tradotta da eretico torna il Dio di carne e sangue

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Fu come un ruggito. Secco, nitido, australe. Scaturito da ere geologiche. All'improvviso, aprire la Bibbia non fu più affare da casalinghe e da bigotte, ma digrignare di denti, atto eretico, un dio dal grugno leonino, affamato. Cominciò con i Salmi. «Un dio ha abitato in ogni parola, ogni parola è stata un dio, pronto all'ira, avido di sacrificio». Stampa Einaudi, nel 1967. «Che cos'è un essere umano/ Perché tu pensi a lui?», tuonano, inquieti, i versi del Salmo ottavo. Come una faina, Guido Ceronetti s'infogna nei labirinti dell'ebraico antico, per decenni, come nessuno, dando forma di bestia alla polvere, risillabando un testo troppo importante per lasciarlo all'happy hour domenicale dei preti. I Salmi ritornano, salmeggiati in altra foggia, ritradotti, nel 1985 («E l'uomo che cos'è?/ Ne hai tu memoria?»): in esegesi di ustionante potenza, Ceronetti mescola la Bibbia alla Bhagavad-Gita, una poesia di Giòrgos Sefèris all'anatema di Céline, all'ode coranica.

Brutalmente, credo che le traduzioni bibliche di Ceronetti, che pure parte e muore sui latini (comincia traducendo Marziale, 55 anni fa; quest'anno Adelphi stampa una scelta dalle Odi di Orazio), siano il suo lascito artistico più alto, che incenerisce le palpebre. Certo, c'è la chimerica sintonia con Kavafis (Un'ombra fuggitiva di piacere, 2004), e l'amore, cristallino, per William Blake, Wilfred Owen, Antonin Artaud, Joyce Mansour («Io chiedo un pane,/ Un pane fatto di pietà») e Apollinaire e Miguel Hernández e Paul Celan e Zola tradotto in versi, liaison nottambule raccolte in libri di remota bellezza (Come un talismano, 1986; Trafitture di tenerezza, 2008). Eppure. Ceronetti è tutto nell'urlo sconsiderato di Isaia («Un branco sperduto eravamo/ Ciascuno perso nel suo traviarsi// Ma in lui ha ucciso il Signore/ La colpa di noi tutti»), nel nichilismo spietato di Qohélet (che genio rendere l'abusato mantra «vanità delle vanità» come «fumo di fumi/ fumo è tutto/ soffio che ha fame»), nell'erotica tagliola del Cantico dei Cantici («Perché l'Amore è duro/ Come la Morte// Il Desiderio è spietato/ Come il Sepolcro»).

Del testo sacro, a Ceronetti piaceva la magia turgida, il morso sanguinario, l'ipnosi antimoderna, la contraddizione («Dio lo tormenta/ Quando più gioia ha il suo cuore»). Traduttore dal genio linguistico quadruplo, Ceronetti, con la sua Bibbia eretica, che manda al rogo i tiepidi, insegna che siamo degli espatriati, gli omicidi di Dio: per questo, ora, non desideriamo altro che un dio. Per salvarci? Macché.

Vogliamo almeno una lauta condanna.

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