Cronache

Vicenza, donna costretta a lavorare fino al parto: è estorsione

Dalla vicenda, risalente al 2011, è emerso che il datore di lavoro ha costretto la donna a riprendere servizio come barista dopo neanche un mese, altrimenti l'avrebbe licenziata. Secondo il giudice si tratta di estorsione ed ha condannato il titolare

Vicenza, donna costretta a lavorare fino al parto: è estorsione

Ha lavorato fino al giorno prima di partorire, per poi riprendere servizio appena 24 giorni dopo la nascita del figlio. Con queste accuse il titolare di un bar di Camisano Vicentino (Vicenza), è stato condannato ad un anno e 5 mesi di carcere (oltre a 5000 euro di risarcimento danni) dal gup del capoluogo veneto: secondo il giudice ci sono tutti i presupposti per configurare il reato di estorsione poichè l'uomo ha minacciato di licenziare la donna se questa non avesse lavorato fino all'ultimo e non fosse rientrata quasi subito in servizio, rinunciando di fatto alla maternità.

La vicenda, raccontata dal Corriere della Sera, risale al 2011. All'epoca dei fatti la lavoratrice, che aveva 24 anni, era stata assunta dal titolare del bar, un 65enne, con un contratto a chiamata, lavorando poche ore a settimana. Quando scoprì di essere incinta informò immediatamente il titolare, il quale secondo il legale della donna rispose che se avesse preso le mensilità previste per legge sarebbe stata licenziata. A distanza di qualche mese il 65enne avrebbe ribadito poi la stessa cosa, generando nella giovane la paura di perdere il posto, al punto che quest'ultima rimase a lavorare fino al giorno prima del parto, avvenuto con cesareo il 16 dicembre 2011, per poi riprendere servizio il 9 gennaio dell'anno dopo.

Secondo il giudice la donna sarebbe stata così vittima di estorsione poichè privata dei mesi della maternità e dell'indennità prevista per legge, dietro la continua minaccia di licenziamento se non avesse fatto quanto richiesto dal suo titolare.

Dal canto suo il 65enne respinge con forza le accuse, al punto che si dichiara pronto a ricorrere in appello avverso la sentenza di primo grado: secondo i suoi legali infatti non ci sarebbe mai stata estorsione e nessuna prova delle minacce subite a suo dire dalla ragazza.

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