Cultura e Spettacoli

Morto Paul Virilio filosofo conservatore che (pre)vide i rischi del progresso

Morto Paul Virilio filosofo conservatore che (pre)vide i rischi del progresso

È morto a Parigi a 86 anni Paul Virilio, filosofo, urbanista, già direttore della Scuola speciale di architettura, intellettuale sensibile e vicino a Baudrillard, de Benoist, Débray. La notizia arriva dalla capitale francese, per bocca della figlia Sophie, a una settimana dal decesso e a funerali celebrati «nella più stretta intimità», come richiesto da lui stesso. Una mente vigile e attiva sino alla fine, la sua: «Qualche giorno prima della morte - ha aggiunto la figlia - lavorava ancora con Jacques Arnould in vista della pubblicazione di un'opera e pensava, con la sua ex allieva e architetta Hala Wardé, a una nuova mostra».

Architetto, urbanista, filosofo: Virilio è stato più di tutto raffinato osservatore della contemporaneità. Si è occupato - da disincantato outsider - anche di arte, denunciando il cortocircuito di un sistema che disprezza il passato, anela all'innovazione (meglio se oscura, meglio se incomprensibile ai più) ma poi gongola davanti agli apprezzamenti (di critica e galleristi). Un circo che sguazza in «idee confuse e acque torbide che sembrano profonde», il suo giudizio tranchant.

Antimoderno? Sì, se vogliamo etichettare così un pensatore che - forte di una trentina di pubblicazioni e svariate collaborazioni con riviste come Esprit - è da sempre allergico al clima dei salotti parigini (cui preferiva la tranquillità di La Rochelle). Profondamente moderno invece se pensiamo che è stato uno dei pochi intellettuali dei nostri tempi a non patire la sbornia iniziale del progresso scientifico e tecnologico, preferendovi una degustazione più meditata e pacata. Cattolico e conservatore, eppure bravo come pochi ad annusare l'aria del cambiamento e, soprattutto, a capire quando è necessario dare l'allarme. Già dieci anni fa ne L'università del disastro (Raffaello Cortina editore) denunciava il limite della velocità iperbolica del progresso tecnico in cui ogni conquista è in realtà un passo avanti verso l'abisso, e quindi conviene adoperarsi per studiare gli antidoti a danni da noi stessi provocati. «Il mondo diventa troppo piccolo per il progresso», commentava Virilio, intervistato dal nostro Giornale. Secondo il filosofo francese, tutto oggi accade troppo velocemente: il mondo ci si sta riducendo in mano, e noi sembriamo non rendercene nemmeno conto. Gli spetta il merito di aver colto la necessità di una nuova «ecologia» che ristabilisca gli equilibri (nella geografia, nella trasmissione delle informazioni): «Viviamo nell'ultra-corta durata dell'istante», ha denunciato, sottolineando che nulla ci importa del passato, poco persino del futuro, iper-ripiegati come siamo sui nostri ombelichi. Sferzante infine il suo giudizio sulla politica contemporanea che parla alla pancia degli elettori, vive di esternazioni momentanee, si nutre dell'immediato, cavalca l'emozione e poi, passata un'onda, attende quella successiva. «Siamo passati da una democrazia rappresentativa a una democrazia della presentazione», ha detto. «La politica di oggi è un comunismo delle emozioni», la sua diagnosi.

Avercene di «antimoderni» così lucidi.

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