Controcultura

Michon e le indispensabili bugie della storia

Andrea Caterini

Leggendo l'ultimo libro di Pierre Michon tradotto in Italia, Gli undici (Adelphi), ho fatto due ragionamenti. È la storia di un quadro, «Gli undici» appunto, dipinto da François-Élie Corentin: il quadro più celebre esposto al Louvre; quello davanti a cui i visitatori di tutto il mondo non possono fare a meno di sostare. La scena è un'ultima cena laica, senza Cristo. Solo che gli apostoli non sono una rappresentanza del popolo, anche se per popolo si spacciano, ma l'anima unica e tirannica di una Storia in atto, gli esecutori del terrore, i tagliagola (Robespierre capo supremo) della Rivoluzione Francese. Corentin, da parte sua, se non avesse ricevuto la commissione di questa opera sarebbe stato uno dei tanti anonimi pittori cresciuti nella bottega di Tiepolo e passati nell'atelier di David come semplici mestieranti.

La vicenda del libro è tutta qui. Soltanto che è una messa in scena, una falsificazione, una menzogna. Non esiste né un quadro e neppure un pittore che risponde al nome di Corentin. La domanda da cui è nato il ragionamento è stata: ne Gli undici la Storia - dico proprio quella che riguarda la Rivoluzione e la stagione delle ghigliottine - soccombe, nel senso che perde di significato, o sopravvive alla narrazione come un demone, un fantasma che non vuole morire? La risposta (il secondo ragionamento) me l'ha fornita Michon. O meglio, non proprio lui ma la sua scrittura - e qui va dato merito al traduttore, Giuseppe Girimonti Greco, che ha saputo restituire la complessità di una sintassi labirintica. Il fatto che la narrazione sia affidata a qualcuno che racconta la vicenda a un ipotetico uditore, crea un effetto d'oralità. Ma è solo un effetto, appunto, che giustifica la natura enigmaticamente digressiva del libro.

Michon - la sua scrittura - finge come finge di esistere il quadro che descrive. Ma questa doppia finzione non è uno straniamento, o un illusionismo letterario. Si tratta invece di una negazione e insieme di una celebrazione della Storia. Cos'è la Storia, sembra pensare Michon, se non la capacità di eternarla oltre le ricostruzioni degli specialisti - qualcosa che la fa essere oltre se stessa? È come se Michon dicesse che per rendere vera la Storia è necessaria una menzogna: che la menzogna è l'enigma in atto.

Che senza un'opera d'arte (il quadro, così come il libro) la Storia sarebbe solo un'illusione, un fantasma.

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