Controcultura

Sesso di carta e donna d'acciaio. Adelina, l'Hugh Hefner italiano

Vita e imprese dell'editrice Tattilo, "femmina" (non femminista) che costruì l'impero di Playmen. E cambiò il pudore dell'Italia

Sesso di carta e donna d'acciaio. Adelina, l'Hugh Hefner italiano

La nonna fu la prima dama di compagnia della regina di Napoli, e si chiamava come lei. Lei, la nipote, da parte sua, sfidò il maschio sul terreno più machista e la femmina in quello meno femminista. Vincendo in entrambi i casi. Volete leggere una bella storia - vera - sul rapporto tra donne e potere, di cui tanto si parla oggi?

Eccola. È la vita - fatta di sesso (di carta), ribellione, soldi, coraggio, spericolate sperimentazioni giornalistiche e successi - della regina dell'erotismo all'italiana che fu anche il «re» dell'editoria per uomini, fatta da una donna: Adelina Tattilo. Una favola sexy (Odoya, pagg. 192, euro 18). L'ha scritta - è una biografia ma anche un pezzo di storia del costume nazionale - Dario Biagi, nipote di Enzo, risultato di un meticoloso lavoro sulle riviste dell'epoca e di interviste ai protagonisti di quella avventura editoriale, imprenditoriale e, viste le conseguenze nella vita di un paio di generazioni di italiani, anche sociale. E dire che tutto cominciò con delle corna.

Prima di diventare, a suo modo, un'icona della liberazione sessuale, per quanto mal sopportata dalle femministe più intransigenti, Adelina Tattilo (1928-2007) era donna del Sud, di famiglia cattolicissima: tradizione e gonne ben stirate, timor di Dio e composte a tavola. Poi s'innamorò - lei che con le sue riviste ne avrebbe fatti sognare a milioni - dell'uomo sbagliato. Rosario Balsamo, detto Saro e conosciuto da tutti come «l'uomo che aveva dato le tette all'Italia»: negli anni del boom, fra il 1964 e il 1967, lanciò in edicola Men e soprattutto Playmen, magazine dall'erotismo patinato che univa i nudi delle attrici più belle a interviste di grandi scrittori, registi, artisti... Ma poi Balsamo iniziò a fare debiti, a concedersi una vita ancora più ricca di quanto la sua enorme ricchezza gli permettesse, e sopratutto a tradire la moglie, Adelina. Che per un po' sopportò, poi da geisha e casalinga si trasformò in leader e tycoon. Così lei lascia il marito e si tiene la casa editrice: nel '69 rileva la quota azionaria dell'ex coniuge (il quale poi fonderà il settimanale Le Ore ricominciando da zero la sua avventura hardcore), liquida la sua partecipazione societaria, mantiene la redazione delle due testate, che è eccellente (Luciano Oppo, elegante e coltissimo nipotino di Longanesi, e poi Sergio Marchetti, Pier Francesco Pingitore, Franco Valobra...), e rilancia. Porta Playmen a cifre da capogiro (nei primi anni '70 alcuni numeri toccano le 450mila copie di diffusione, cioè più di Epoca), rimette a posto i conti del gruppo e colleziona centinaia di denunce e sequestri delle riviste, resiste ai magistrati e fa crollare i tabù, combatte una lunghissima disfida con Hugh Hefner che vuole interdire l'uso del titolo Playmen, confondibile col suo Playboy e bloccare così l'espansione della rivale (le bellezze italiche, più vere e meno plastificate delle celebri conigliette americane, diventano le «spaghetti bunnies»), colleziona scoop (pubblica le foto rubate di Brigitte Bardot in topless, ma soprattutto, nel 1972, fa il botto col servizio sul nudo rubato di Jacqueline Kennedy, allora moglie di Onassis, sull'isola di Skorpios), si lancia persino in un'avventura cinematografica fondando una casa di produzione, la Thousand, specializzata in film erotici e gialli, ma che fa uscire anche due opere di denuncia di Carlo Lizzani. Poi apre nuove testate: alcuni sono veri flop, come il tabloid Stress nel 1970 o il «femminista» (che non piace alle femministe) Libera nel '73, rivolto alle «donne moderne, evolute, aperte», forse troppo d'avanguardia, oppure lo sportivo Special ('87), varato con l'amico e socio Gianni De Michelis; altri sono grandi successi, come il settimanale «eroticomico» Menelik (1971) che punta sui fumetti (come l'indimenticato Le avventure di Bernarda), le parodie (Tex e Diabolik in versione porno-soft) e i pezzi del mitologico Gian Carlo Fusco, in uno dei momenti più trash della sua altalenante carriera giornalistica...

A proposito di giornalisti. Playmen, come è noto, svestì molte celebrità: cantanti, modelle e showgirl, da Pamela Villoresi a Patty Pravo, da Ornella Muti a Amanda Lear, e tutte le attrici che costruirono in quegli anni la leggenda cinematografica della commedia sexy all'italiana. Ma, forse è un po' meno noto, pubblicò penne di gran razza: Luciano Bianciardi disquisiva di televisione, Emilio Servadio di psiche e sessualità, Enrico de Boccard di libri, Pietro Vivarelli di musica, Maurizio Costanzo aveva una rubrica di teatro, e le interviste non erano da meno di quelle del ben più blasonato Playboy. E vanno ricordati gli articoli di Henry Miller o della Pivano, i saggi di Julius Evola, i reportage e i racconti (l'elenco è impressionante: Iris Murdoch, Ionesco, Graham Green, Jean Cau, Malamud, John Cheever, Vidal e mezza Garzantina della letteratura italiana, Calvino, Bevilaqua, Landolfi, Buzzati, Bartolini, Berto, Soldati, Siciliano, Giose Rimanelli e persino Dacia Maraini). Senza dire del reparto fumetto-disegni-vignette: da qui passarono Sempé, Saul Steinberg, Zac, Altan, Wolinski, Crepax, Jacovitti (qualcuno si ricorderà le tavole dell'immaginifico Jacoerotikon) e Milo Manara (vi dice qualcosa Il gioco?).

Il gioco di Adelina, tra business e emancipazione sessuale, durò tutti gli anni Settanta e Ottanta, quando nel suo attico romano firmato Enrico Job, sulla collina Fleming, zona ad alta densità di celeb, divenne la regina dei salotti. Dalle sue cene più terrazza passavano scrittori, giornalisti, attori, registi, imprenditori&mogli, e soprattutto Bettino Craxi, del cui cerchio magico la Tattilo era il centro mondano.

Che anni, fra ignude e affinità varie... Adelina Tattilo sul potere dell'erotismo aveva creato un impero. Ma di carta. Che franò, negli anni '90, con l'esplosione del mercato della pornografia in videocassetta. La favola sexy era finita. Senza neppure farci una morale, in fondo.

E non è detto che sia un male.

Commenti