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"Donald l'ha sparata troppo grossa. E così il mondo intero ha riso di lui"

Il giovane autore dei discorsi di Obama: frasi lontanissime dal vero

"Donald l'ha sparata troppo grossa.  E così il mondo intero ha riso di lui"

David Litt ha trentadue anni, la parlata supersonica da newyorchese, la faccia da bambino, l'aria seria. La comicità è il suo mestiere: prima al magazine satirico The Onion, oggi al sito Funny or Die. In mezzo è stato alla Casa Bianca: aveva 24 anni quando ha iniziato a lavorare con il presidente Obama, per il quale è stato assistente e speechwriter. Soprattutto di battute, come quelle della Cena dei corrispondenti: lo racconta, con umorismo, nel memoir Grazie, Obama (HarperCollins, pagg. 380, euro 18).

David Litt, ha sentito il discorso del Presidente Trump all'Onu?

«Ironicamente, una delle accuse preferite di Trump a Obama era: Il mondo ci ride dietro. Non era vero; ma ora, letteralmente, il mondo intero ride del Presidente».

Nel discorso Trump ha commesso qualche errore?

«La domanda che ci ponevamo sempre, quando si trattava di scrivere un discorso per il Presidente, era se fosse permesso. Ci sono cose di cui puoi parlare e che possono cambiare il modo di pensare delle persone; e ci sono esperienze troppo lontane dal pubblico, per cui, se ne parli, risulti fuori sintonia».

Nel caso di Trump?

«Era proprio uno di quei momenti. Quando ha detto di aver fatto meglio di tutti gli altri, era così lontano dalla verità che tutti hanno riso. Ma è stato un problema di sostanza, non di forma».

Le risate però possono essere anche positive?

«In inglese si dice: un conto è rido con te, un altro se rido di te. Ecco, ridere con è positivo».

A che cosa serve l'umorismo in un discorso politico?

«Può fare due cose. Primo, umanizzare il leader. Secondo, quando il discorso politico è molto tossico, l'umorismo può aiutare a dire la verità, in modo non tradizionale».

Come si trova l'equilibrio fra serietà e comicità?

«Quando scrivevo le battute per il Presidente dovevo sempre ricordare che a pronunciarle era, comunque, il Presidente. Quindi: niente che riguardasse la sicurezza nazionale, niente che sottolineasse l'aspetto fisico. Una cosa scritta per scherzo ci mise in un grosso guaio, bisogna stare attenti...».

Come andò?

«C'era una frase seria e, per assonanza, avevo messo insieme Siria e Kenya. La Casa Bianca fu costretta a scusarsi con il governo keniota».

Lezione?

«Il fatto che tu abbia l'abilità di scatenare un incidente internazionale, non significa che tu abbia anche quella di fermarlo».

Che cosa deve avere un discorso?

«È fondamentale sapere quale sia la singola idea principale che vuoi esprimere. E poi farti le domande giuste per arrivarci. Devi concentrarti sul risultato, più che sul processo».

La prima volta che Obama ha pronunciato un suo discorso quanto era emozionato?

«Più che emozione era terrore. Era un discorso breve, di cinque minuti, che tenne a Portorico. Io guardai dalla tv e per tutti e cinque i minuti non riuscii a respirare».

Com'è lavorare alla Casa Bianca?

«Straordinario. Ho impiegato settimane a rendermi conto che era il mio ufficio. Certo la pressione è molto intensa. Non stacchi mai».

E l'Air Force One?

«Bellissimo. Certe cose della Casa Bianca non sono magiche come si vede nelle serie tv o nei film, ma l'Air Force One... beh, è esattamente come si vede in tv. E il cibo è ottimo».

Che cosa le manca della routine del suo «ufficio»?

«Quando viaggiavo con la scorta presidenziale non ero mai bloccato nel traffico. Seriamente, quello che mi manca di più è vedere le facce delle persone, quando il presidente Obama entrava in una stanza».

La Casa Bianca è come House of Cards? O West Wing?

«Di sicuro non è House of Cards.

È più un incrocio fra West Wing - qualche volta, nei momenti migliori - e, molto più spesso, Veep, che cattura bene il senso di essere tutti sotto pressione, e che tu possa cadere da un momento all'altro».

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