Cultura e Spettacoli

"La nostra preistoria familiare ci spiega il presente e il futuro"

Nel saggio «I miei primi 54.000 anni» l'autrice svedese ha indagato sui propri avi. Con un'infallibile guida: il Dna

"La nostra preistoria familiare ci spiega il presente e il futuro"

Fra i protagonisti del libro di Karin Bojs ci sono: una cacciatrice morta intorno agli ottant'anni, circa diecimila anni fa, in ottima forma fisica e con una dentatura invidiabile; la giovane «Ragazza dei lamponi», una diciannovenne probabilmente affogata in un rituale macabro dei primi agricoltori circa cinque-seimila anni fa, a Falbygden (dove oggi si trova, nel Museo locale, ed è conosciuta come la mummia più antica di Svezia); e poi vichinghi, sami, navigatori che dal mar Egeo hanno risalito il Mediterraneo, uomini delle steppe, terre scomparse (la misteriosa Doggerland), vasi, ceramiche, birre, aghi, imbarcazioni... In tutto questo si è imbattuta Karin Bojs, giornalista scientifica e saggista svedese, mentre indagava sulle origini dei suoi avi e delle sue ave: «Sono cresciuta in una famiglia piccola e divisa: mi sentivo come recisa dalle mie radici e volevo scoprire di più sui miei antenati». Ne è nato I miei primi 54.000 anni. Storia della mia famiglia e del nostro Dna (Utet, pagg. 438, euro 25).

Karin Bojs, come è collegata la storia della sua famiglia con quella dell'umanità?

«La storia della mia famiglia è parte di quella, più ampia, dell'umanità. Tutti possiamo inserire i nostri antenati all'interno delle grandi trasformazioni della preistoria e della storia, come l'arte delle caverne dell'Era glaciale, i primi cani addomesticati, le prime coltivazioni... La tecnologia del Dna ci aiuta a scoprire tutto questo».

Quali sono le convinzioni e i miti sul nostro passato che il Dna ha contribuito a smascherare?

«Per esempio, gli archeologi hanno discusso per oltre un secolo su come si sia diffusa l'agricoltura: se sia stata una evoluzione culturale, oppure se sia stata portata dai contadini emigrati dalla culla dell'agricoltura, in Medio oriente».

E...?

«La seconda ipotesi si è rivelata vera: il Dna ha fornito le prove, e il dibattito si è concluso. Anche la diffusione delle lingue indoeuropee è stato un tema molto discusso».

Il Dna che cosa dice?

«Mostra chiaramente che queste lingue, come l'italiano, lo svedese e l'inglese, si sono diffuse insieme a una popolazione di pastori nomadi, originari delle steppe della attuale Russia, varie migliaia di anni dopo la prima diffusione dell'agricoltura dal Medio oriente».

Perché nel titolo si attribuisce proprio 54mila anni di anzianità?

«Perché 54mila anni fa - più o meno ... - c'è stato un rimescolamento fra noi, persone anatomicamente moderne, arrivate da poco dall'Africa in Medio Oriente, e i Neanderthal, che avevano vissuto in Asia e in Europa per varie centinaia di migliaia di anni».

Che cosa ha portato questo incontro?

«Probabilmente l'eredità Neanderthal è stata positiva: il gruppo di fuoriusciti dall'Africa era molto piccolo e a rischio di endogamia, ma il sangue nuovo, diciamo così, ci ha dato un Dna più ampio, un sistema immunitario migliore e alcune caratteristiche che sarebbero tornate utili in un ambiente più freddo, come la capacità di digerire meglio i grassi e i carboidrati».

Quindi che cosa ha scoperto dei suoi antenati?

«Ho seguito tre linee nella mia famiglia: la prima è la madre della madre della madre... della mia nonna materna, che mi riporta all'Era glaciale, a una donna il cui nome è Ursula, una delle prime cacciatrici che colonizzarono l'Europa e dipinsero la famosa arte rupestre».

La seconda?

«La madre della madre della madre... della mia nonna paterna, che mi porta alla Siria e alla Turchia di oggi, cioè ai primissimi agricoltori, che addomesticarono le mucche e i maiali e coltivarono il primo grano e i primi ceci».

Chi resta?

«Il padre del padre del padre... del mio nonno paterno. Che mi porta alle steppe della Russia di oggi, ai pastori che portarono le lingue indoeuropee al resto d'Europa e a parte dell'Asia. Ecco, queste tre ondate, che hanno formato la popolazione europea nel tempo, sono presenti anche nella mia famiglia, nel mio Dna. Ho la preistoria nel sangue, come tutti noi».

Quanto sono state determinanti queste ondate?

«Hanno segnato la preistoria dell'Europa. Ogni ondata ha trasformato totalmente la nostra popolazione e la nostra cultura: ancora viviamo in una civiltà in cui la nostra esistenza dipende più dall'agricoltura che dalla caccia, e ancora parliamo le lingue che la terza ondata ci ha portato».

Ci sono anche delle innovazioni pratiche che hanno cambiato la nostra storia?

«Nel libro sottolineo quale importanza abbia avuto l'invenzione degli aghi. Durante il Solutreano, in un periodo molto duro dell'Era glaciale, gli aghi e la capacità di realizzare buoni vestiti ci hanno sicuramente aiutato a sopravvivere a quel gelo».

Parla anche di alcol e birra.

«Alcuni archeologi tedeschi hanno ipotizzato, con argomenti molto convincenti, che la produzione di birra sia stata una forza trainante nel passaggio all'agricoltura».

Perché parla di «sorgente» anziché di albero genealogico?

«L'albero è una immagine comune, ma incompleta, perché non mette in luce tutte le fusioni che sono state così cruciali nel renderci le persone che siamo oggi.

Perciò credo che una sorgente, o un fiume serpeggiante, siano immagini più adatte: a volte le acque deviano, a volte confluiscono insieme, esattamente come hanno fatto le persone, durante tutta la nostra storia e preistoria».

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