Cultura e Spettacoli

Alla faccia della post-verità. False le foto icona del '900

Un saggio dimostra come la manipolazione delle immagini e la loro strumentalizzazione non nasca dal web. Anzi...

Alla faccia della post-verità. False le foto icona del '900

Per commemorare il centenario della fine della Prima guerra mondiale il regista Peter Jackson ha realizzato l'ambizioso documentario - il trailer è apparso giusto ieri - They Shall Not Grow Old. Con una particolarità: è composto da filmati d'archivio selezionati, poi digitalizzati, colorati, arricchiti di audio e convertiti in 3D. Lo scopo è far percepire al pubblico di oggi la guerra così come la vedeva chi l'ha combattuta. Tutto legittimo? Qualcuno si è chiesto se quella sia davvero la verità, e se si possa colorare la Storia.

Di certo la si può manipolare. Da sempre: resoconti, cronache, bassorilievi, stele commemorative, incisioni, monumenti, dipinti... Quante volte la Storia è stata alterata, contraffatta, falsificata o per alte ragioni di Stato o per bassi motivi politici? A un certo punto, a partire dall'Ottocento, si era pensato che la fotografia - un mezzo considerato diretto, immediato, obiettivo - potesse risolvere la questione, e testimoniare solo la verità. Si scoprì presto, invece, quanto anche la fotografia fosse fraintendibile, manipolabile, alterabile. Il secolo per eccellenza dell'immagine, il Novecento, lo dimostra. E la contemporaneità, in cui l'immagine persino prevale sulla parola, tra fake-news e post-verità, lo conferma. «La fotografia riassume tanto la verità quanto il suo tradimento», scrive Luigi Zoja, psicoanalista ed esperto del mondo della comunicazione, che all'ambiguità della fotografia ha dedicato un saggio implacabile, Vedere il vero e il falso (Einaudi). Tesi: la ricostruzione storica dimostra che le foto più famose sono spesso il risultato di artifizi. «La nuova tecnica, nata per aiutare il vero, scivola al servizio della propaganda, alleandosi al falso». Svolgimento: l'autore sceglie quattro fotografie iconiche, che da una parte riassumono la memoria della grande Storia e dall'altra sintetizzano la degenerazione dei mass-media, e ne smonta la «veridicità» (sono tutte messe in scena) riconoscendo però la loro immutata carica simbolica. Eccole. Sono tutte foto di «guerrieri»: soldati che hanno fatto la Storia.

La prima. Morte di un miliziano di Robert Capa, forse l'immagine più nota al mondo scattata dal fotoreporter più noto del mondo. Una intera epica - la lotta tra repubblicani e franchisti, il duello tra nuovi Ettore e Achille, lo scontro fra Libertà e Morte - concentrata in un'unica foto. Scattata presumibilmente a Cordova nel 1936 e raffigurante un soldato repubblicano colto nell'attimo in cui il proiettile lo ha colpito, ma non ancora caduto, è considerata la prima istantanea di «morte dal vero». E invece è un falso. Difficile sia stata scattata durante la battaglia. Più probabilmente si tratta di una fra una serie di fotografie «posate», frutto di una raffica di una macchina fotografica posta sul treppiede. È impossibile che Capa potesse riprendere il soggetto di fronte, davanti alla «prima linea», e di certo non usò una Leica (come sostenne sempre) ma una Rolleiflex 6x6. Forse addirittura l'autore non è Capa, ma la sua compagna Gerda Taro... Josè Manuel Susperregui, che ha studiato a lungo il caso, ha scritto: «L'immagine non rappresenta la morte di un miliziano, ma la morte della fotografia giornalistica, perché pregiudica la sua credibilità».

La seconda. La fotografia che ritrae un gruppo di soldati tedeschi mentre rimuove la sbarra di confine alla frontiera tra Germania e Polonia, il 1° settembre 1939: nell'inconscio collettivo rappresenta l'inizio alla Seconda guerra mondiale. Rispetto alla versione ufficiale non combaciano né l'orario né la posizione della sbarra, che era già spezzata. Ed è impossibile che il fotografo, tedesco, fosse già al di qua della frontiera, prima dell'invasione, per poter comodamente celebrare l'evento. Insomma, fu una messa in scena successiva. Propaganda del Reich. Eppure nulla cambia: il breve passo in territorio polacco è l'inizio di una galoppata verso l'inferno.

La terza. Joe Rosenthal, Old Glory Goes Up on Mt. Suribachi, Iwo Jima 1945. È la foto in assoluto più celebre della storia americana. Paragonata da qualcuno all'Ultima cena di Leonardo per la civiltà europea. È l'immagine «perfetta» - sintesi di egualitarismo, nazionalismo e civil religion - che simboleggiò l'eroismo degli Stati Uniti impegnati nell'ultimo sforzo contro il nemico, i giapponesi ancora asserragliati sulle isole pronti a difendersi fino alla morte. Quando la foto, passata dallo Stato Maggiore dell'esercito, fu pubblicata su tutti i giornali del Paese, nel febbraio 1945, l'America capì di aver vinto la guerra. Ormai la bandiera era stata piantata. Eppure: la foto fu scatta prima della fine della terribile battaglia di Iwo Jima. Nessuno sa con certezza chi siano i marine ritratti, e quanti furono gli scatti tra i quali fu scelta la foto-icona. Non è neppure una fotografia messa in scena, ma la fotografia del preparativo della messa in scena. E Clint Eastwood nel 2006 ha persino girato un film sul falso più «vero» della storia americana: Flags of Our Fathers.

La quarta. La bandiera rossa sul Reichstag scattata da Evgueni Khaldei il 2 maggio 1945 nella Berlino in fiamme espugnata dall'esercito sovietico. Le fiamme, un crepuscolo degli dèi wagneriano, l'eroe in bilico sul baratro, gli orologi d'oro (frutto di un saccheggio) cancellati dai polsi dell'ufficiale in primo piano, l'immagine direttamente selezionata tra tante da Stalin... Tutto perfetto, tutto troppo «vero». Tutto falso.

Per fortuna ci sono i bambini, che non mentono (insomma...). La seconda parte del saggio analizza altre quattro fotografie, famosissime, tutte con al centro l'infanzia: il bambino con le mani alzate nel ghetto di Varsavia (1943); il bambino con la palla di riso a Nagasaki, dopo la bomba atomica (1945); la bambina che corre ustionata dal napalm in Vietnam (1972); e la bimba scheletrica, accasciata a terra, con alle spalle un avvoltoio in attesa, in Sudan (1993): Kevin Carter vinse il Pulitzer, poi si uccise. Le quattro foto sono vere, ma celano finalità nascoste: sono state tutte strumentalizzate, a fini politici.

Domanda: contro la dittatura del falso - mentre l'onnipresenza delle fotografie sta spegnendo la nostra immaginazione - davvero non abbiamo difese? Risposta: iniziamo a vedere di meno, e a guardare meglio.

Potremo scorgere una speranza.

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