Economia

Spread, il vero termometro ora è la Spagna. Il problema è che fa meglio di noi dal 2014

Per i mercati il confronto coi Bonos è più rivelatore della salute dell'economia

Spread, il vero termometro ora è la Spagna. Il problema è che fa meglio di noi dal 2014

Milano - Fatti non fummo per viver di solo spread tra Btp e Bund. C'è infatti anche dell'altro, un alt(r)o indice di sofferenza sulle italiche sorti: il differenziale di rendimento tra i Bonos spagnoli e i titoli tedeschi. Nelle sale operative è tra i primi dati che si consultano come vera cartina di tornasole per capire come siamo messi in questi giorni in cui il braccio di ferro fra governo e Bruxelles sul perimetro della manovra ha allargato la forbice tra il nostro decennale e l'omologo crucco oltre i 300 punti (scesi ieri a 280). Ebbene, nel derby latino dello spread, Madrid vince a mani basse: sono appena 102. i punti di distanza dal Bund, un gap che agevola il Tesoro iberico nel collocamento dei titoli di Stato. A differenza di quanto sta accadendo dalle parti del Mef, alle prese con rendimenti sul decennale di oltre il 3%.

Dal febbraio del 2014 la terra di Garcia Lorca e Picasso non ha mai più visto lo spread risalire sopra quota 200. Significa, nella sostanza, che i mercati non percepiscono il Paese come un rischio per i loro investimenti. Negli ultimi mesi la Spagna ha gestito abilmente il passaggio delle consegne tra il premier Mariano Rajoy, travolto dalla Tangentopoli in salsa iberica, e il suo successore Pedro Sànchez, capace di coagulare attorno al Partito socialista il consenso degli indipendentisti catalani e di strappare una sorta di apertura da parte di Podemos. Ma, soprattutto, Sánchez ha subito usato le paroline magiche che piacciono tanto a Bruxelles, garantendo il rispetto degli impegni presi con l'Europa e di mantenere dritta la barra sulla rottadella stabilità. L'allineamento all'ortodossia europeista è già una bella carta di credito da esibire sui mercati. Poi c'è anche da spendere il giudizio positivo delle agenzie di rating (negli ultimi mesi S&P e Fitch hanno restituito a Madrid la «A», Moody's ha alzato a «Baa1» il giudizio). Non male per un Paese travolto nel 2008 dalla bolla immobiliare, dalle bancarotte societarie, dalla disoccupazione e dalla crisi del sistema del credito. Dopo aver sfiorato il baratro, le banche spagnole hanno fatto pulizia nei bilanci: oggi il rapporto tra sofferenze e totale degli attivi è del 6% contro il 15% di quelle italiane. Inoltre, non c'è la stretta dipendenza nei confronti del debito pubblico, la spina nel fianco dei nostri istituti quando lo spread comincia a mordere.

Tutto bene? No. Per quanto il 100% di rapporto debito-Pil sembri rassicurante rispetto all'oltre 130% italiano, è la traiettoria che inquieta: nel 2007 il debito era appena al 22%. E anche sulla crescita economica, un +3% circa in media dal 2015, bisogna prestare attenzione. L'espansione è stata infatti sostenuta grazie a manovre in forte disavanzo (6% del Pil nel 2014, 5,3% nel 2015, 4,5% nel 2016 e 3,1% nel 2017). Insomma: finora Madrid ha ottenuto ampi margini di flessibilità da Bruxelles e li ha sfruttati. Resta da vedere se Sànchez farà davvero tornare la Spagna un Paese rispettoso delle regole.

In caso contrario, lo spread, prima o poi, presenta il conto a tutti.

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