Cultura e Spettacoli

«Con le onde gravitazionali sveliamo i segreti dei corpi celesti»

Insegna al Mit e ha contribuito alla scoperta (da Nobel) del 2015: «Ho elaborato uno dei due algoritmi per l'analisi dei dati»

Eleonora Barbieri

Salvatore Vitale ha 36 anni. Dopo il Liceo a Reggio Calabria si è laureato in Fisica a Bologna («grazie a una borsa di studio, perché la mia è una famiglia umile»), ha vinto un'altra borsa per scrivere la tesi all'estero, si è trasferito prima Parigi, poi ad Amsterdam e infine in America, al Mit. Era il 2012: «Nei tre anni di post dottorato c'è stata la scoperta della prima onda gravitazionale, nel settembre 2015». Oggi, che è Professore associato, fa sempre ricerca sulle onde. È proprio per il suo ruolo in quella scoperta epocale, che è valsa il Nobel a Kip Thorne, Rainer Weiss e Barry Barish, che ieri a Cosenza Vitale ha ricevuto il premio speciale Fondazione Carical nell'ambito del Premio per la Cultura mediterranea.

Che cosa sono le onde gravitazionali?

«Sono perturbazioni dello spazio-tempo: cambiano la distanza fra gli oggetti, in una maniera che dipende dal tempo».

Perfino Einstein aveva dubbi sulla loro esistenza.

«L'idea originaria è sua. Capì che, se esistevano, erano incredibilmente deboli. E, quindi, difficili da rilevare».

Che caratteristiche hanno?

«Sono prodotte non da cariche elettriche, bensì da masse. E non interagiscono con altro che la massa stessa, e molto debolmente».

Strumenti come Ligo in America o Virgo in Italia come hanno fatto a rilevarle?

«Quando un'onda vi passa attraverso, varia la distanza fra gli specchi che li compongono».

Di quanto?

«Veramente, veramente di poco... Nel caso di Ligo, gli specchi sono a distanza di 4 km. Quando passa un'onda, la variazione è inferiore alla dimensione di un protone. Perciò ci sono voluti cento anni di evoluzione tecnologica per ottenere una antenna sensibile a un cambiamento così minuto».

Il suo ruolo qual è stato?

«Ai progetti Ligo e Virgo collaborano più di mille persone, ma esistono due macrogruppi. Il primo lavora sullo strumento e le sue componenti. Poi ci sono le persone come me, che prendono i dati che escono dalla macchina e si chiedono se, dentro, ci sia qualche segnale di origine astrofisica».

Come si fa?

«Servono degli algoritmi per scansionare i dati. Io ho avuto un ruolo nello scrivere uno dei due algoritmi che hanno scoperto la prima onda nel 2015, praticamente in tempo reale. Bisogna essere veloci».

Perché?

«Perché, quando ho dimostrato che c'è qualcosa che viene dallo spazio, devo chiedermi: che cos'è? E dirlo agli astronomi. Dal 2019 queste informazioni saranno pubbliche».

Oggi che cosa fa?

«Soprattutto questa seconda parte del lavoro: cerco di scoprire il più possibile sulla sorgente che ha emesso il segnale. Si tratta di sistemi binari, cioè di due oggetti, molto massicci: per esempio, stelle di neutroni o buchi neri».

Perché la scoperta delle onde gravitazionali è così importante?

«Per l'astronomia è come, nel cinema, il passaggio dal muto al sonoro».

Che significa?

«La luce viene bloccata, deviata o riflessa: se davanti c'è del gas, non posso vedere l'esplosione del secolo. Invece con le onde gravitazionali non ci sono sorgenti invisibili: questo apre i nostri occhi e le nostre orecchie a fatti scientifici che, prima, non potevamo studiare».

Amplia i confini dell'astronomia?

«Ci dà una visione complementare dell'universo, per vedere anche oggetti che conoscevamo poco, come i buchi neri».

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