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Cina, al via la crociata del governo contro i prodotti halal

Il Partito Comunista cinese ha invitato i suoi dirigenti a contrastare la diffusione dei prodotti halal nella provincia autonoma dello Xinjiang, dove vivono 10milioni di musulmani uiguri. Per il governo di Pechino "alimentano l'estremismo religioso"

Cina, al via la crociata del governo contro i prodotti halal

“Credo nel marxismo-leninismo, alzo lo stendardo e combatto fino alla fine la moda di halal, fermo nella mia convinzione fino alla morte”. È questo il testo del singolare giuramento che da oggi in poi dovranno pronunciare i funzionari del Partito Comunista cinese dello Xinjiang, la provincia autonoma del nord-ovest del Paese dove abitano 10 milioni di musulmani uiguri.

Da anni la Cina combatte le spinte indipendentiste di questa minoranza turcofona favorendo l’immigrazione di massa di cittadini cinesi di etnia Han. Una politica che secondo le associazioni per la tutela dei diritti umani e le Ong ha assunto la forma di una vera e propria repressione contro gli uiguri. Ma l’ultima campagna di Pechino ha il sapore di una vera e propria crociata, in salsa socialista. Quella inviata dal leader del Pcc di Urumqi, Liu Ming, su WeChat, la più diffusa app di messaggistica cinese, è una vera e propria "chiamata alle armi" contro la “halalizzazione” dei prodotti cinesi. L’appello a tutti i funzionari di partito è quello a “non avere religione, riferirsi soltanto all'ideologia marxista e parlare in pubblico soltanto in cinese mandarino” per evitare la diffusione della religione islamica.

A dare manforte al partito c’è pure il quotidiano governativo, il Global Times, che in diversi editoriali si è scagliato contro le etichette 'halal' che marchiano i prodotti di uso quotidiano, come latte, dentifricio, e così via. La ragione, spiegano dal giornale, è che la diffusione di questi prodotti porta a superare “il confine fra religione e vita laica”. Il Quotidiano del Popolo, l’organo di stampa ufficiale del Partito Comunista, scrive invece che “la tendenza pan-halal” ha avuto tra le sue conseguenze negative quella di "penetrare nella secolarizzazione" della regione, favorendo la crescita “dell'estremismo religioso".

Negli ultimi anni, a seguito di attentati attribuiti a militanti islamisti o agli indipendentisti uiguri, si è intensificato il controllo del governo centrale sulla provincia occidentale del Paese. Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani sarebbero un milione gli appartenenti a questa minoranza etnica che negli ultimi anni sono stati inviati in campi di internamento per essere rieducati attraverso l'insegnamento del cinese mandarino e un'educazione civica e "del pensiero". Alla base delle detenzioni ci sarebbero, in molti casi, motivazioni pretestuose. A confermare queste accuse oggi è arrivato anche un rapporto annuale della commissione sulla Cina del Congresso degli Stati Uniti.

Pechino, ovviamente, ha sempre negato ogni addebito.

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