Economia

La Cina non userà lo yuan come clava contro gli Usa

Lo assicura il governatore della banca centrale, Yi

La Cina  non userà  lo yuan   come clava contro gli Usa

La Cina non è impegnata in una svalutazione competitiva e non intende usare il tasso di cambio della sua valuta, lo yuan, come «uno strumento per gestire le frizioni commerciali».

Lo ha dichiarato il governatore della banca centrale cinese, la People's Bank of China, Yi Gang, in una nota dell'International Monetary and Financial Committee pubblicata ieri nel corso dei meeting annuali del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale a Bali, in Indonesia. La Cina, ha aggiunto Yi, manterrà «in generale stabile» il tasso di cambio dello yuan, e «neutrale» la politica monetaria.

Nei giorni scorsi, il segretario al Tesoro Usa, Steve Mnuchin, in un'intervista al Financial Times, aveva avvertito Pechino di non indulgere in una svalutazione competitiva nel mezzo delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti: Yi e Mnuchin si erano successivamente incontrati, a margine del meeting del Fmi, per discutere «rilevanti questioni economiche e finanziarie», aveva fatto sapere in una nota la People's Bank of China, senza scendere nel dettaglio dei colloqui. Yi Gang aveva successivamente incontrato anche il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell.

Lo yuan ha perso negli ultimi sei mesi circa il 9% del proprio valore, avvicinandosi a quota sette sul biglietto verde, dagli analisti ritenuti una soglia psicologica da non oltrepassare. Rassicurazioni sul tasso di cambio erano arrivate il mese scorso anche dal primo ministro cinese, Li Keqiang, che aveva affermato che Pechino non intende procedere a una svalutazione del renminbi, altro nome della valuta cinese, per sostenere le esportazioni.

Il governo cinese ha fissato un obiettivo di crescita attorno al 6,5% per il 2018, e nei primi due trimestri di quest'anno la crescita si è attestata al 6,8%: per il 19 ottobre prossimo sono attesi i dati del terzo trimestre 2018. Il deprezzamento del renminbi, altro nome della valuta cinese, non impensierisce particolarmente il Fondo Monetario, che ha però rivisto al ribasso le stime di crescita della Cina per il 2019, passate dal 6,4% al 6,2% sui contraccolpi dell'escalation sui dazi tra Pechino e Washington: il capo economista dell'istituto diretto da Christine Lagarde, Maurice Obstfeld, si è detto fiducioso nei giorni scorsi riguardo alla capacità del Dragone di difendere la propria valuta.

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