Economia

Spread ai massimi dagli ultimi 5 anni. Piazza Affari chiude in picchiata: -1,89%

I mercati puniscono la manovra e scontano nuove tensioni in arrivo dagli Usa

Spread ai massimi dagli ultimi 5 anni. Piazza Affari chiude in picchiata: -1,89%

Più che una manina, è una manata simile a un ceffone quella che i mercati hanno rifilato ieri all'Italia. Non sono piaciute le tensioni governative sul condono fiscale, con tanto di pasticciaccio brutto sulla manipolazione del testo. È un ulteriore segno di divisioni fra le varie anime della compagine giallo-verde e, dunque, letto laddove gira il denaro come l'ennesima prova di instabilità. Il peggior nemico per chi investe. Se a un quadro politico opaco si aggiungono poi le bordate arrivate da Bruxelles, dove non si è esitato a bollare la manovra come una deviazione «senza precedenti nella storia del Patto di stabilità e crescita», è chiaro come sia impossibile pretendere una tregua delle vendite. Il mercato teme un muro contro muro tra la Commissione Ue, che vorrebbe convincere Palazzo Chigi a revisionare profondamente le legge finanziaria, e i vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, poco propensi a far concessioni all'Ue. Questo probabilissimo atto di forza fra i contendenti è costato caro ieri a Piazza Affari: -1,89% lo score finale, con l'indice sprofondato ai minimi da inizio 2017. Già il solo bilancio dell'ultimo mese, quello più contrappuntato dall'inacidirsi dei rapporti tra Roma e Bruxelles, è da mani nei capelli (-10% circa); ma quello degli ultimi sei mesi (quasi un 20% di perdite) mostra lo scollamento radicale tra le iniziative dell'esecutivo e la risposta dei mercati.

Per quanto deprimenti, le perdite del Ftse-Mib mascherano quelle, ben più sostanziose, accusate dalle banche. Con la picchiata di ieri (-3,3%), sale al 17% la flessione mensile. Sui sei mesi, siamo alla Caporetto: un collasso del 33%, diretta conseguenza della mole di titoli di Stato italiani in pancia agli istituti. Mole che diventa subito indigeribile non appena si scalda lo spread, balzato ieri a 325 punti. Era dal marzo di cinque anni fa che il differenziale tra i Btp e il Bund tedesco non toccava simili livelli. Il rendimento del decennale è così schizzato dal 3,55% di mercoledì al 3,68%. Altri grattacapi per il Tesoro in vista delle prossime emissioni.

Come se non bastassero le tensioni interne al governo e il pollice verso mostrato dall'Ue ai conti tricolori, a spaventare i mercati è l'ormai prossimo verdetto delle agenzie di rating sulla nostra affidabilità finanziaria. Moody's ha già preannunciato di voler abbassare la valutazione dell'Italia, al momento BB-, appena due gradini sopra la categoria junk, spazzatura. Molto probabile che Standard&Poor's e Fitch facciano altrettanto. L'incognita è però legata all'entità del taglio. E ciò può fare un'enorme differenza.

Non vanno infine perse di vista le tensioni che stanno agitando un po' tutti i mercati, sia per ragioni geo-politiche, sia per lo scontro in atto tra Donald Trump e la Federal Reserve. La banca centrale Usa ha ribadito nelle minute dell'ultima riunione di voler continuare ad alzare i tassi, seppur in modo graduale. La Casa Bianca vorrebbe invece uno stop.

Il duello andrà avanti, con conseguenze difficili da prevedere.

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